Tre parole nette da dire e un «mai più» senza sconti
venerdì 22 febbraio 2019

Il cambiamento, quasi una rivoluzione, parte dal vocabolario. Non si tratta di rinnegare il linguaggio di sempre, ma di dare un senso nuovo alle parole, superando la divisione tra teoria e pratica, per farle diventare facce della stessa medaglia, come la matita e il pennello nel mestiere di pittore, che prima disegna e poi dipinge.

Non a caso il Papa aprendo in Vaticano il summit anti-abusi ha chiesto di puntare al cuore del problema, di chiamarne per nome le radici, di superare le «semplici » e «scontate» condanne per adottare «misure concrete» ed «efficaci». Il rischio da vincere è le sterilità delle formule, il cercare rifugio negli slogan della «tolleranza zero» e del «prima di tutto le vittime», che sono ineccepibili, a patto che diventino vita vera e non semplici formule di un discorso ridotto a tormentone.

Un pericolo che si vince in primis con l’ascolto, parola anch’essa da cambiare, nel senso che più delle orecchie chiama in causa il cuore, per declinarsi in sofferenza condivisa, in compassione, in seme e primo respiro di vita nuova. Certo è fondamentale, anzi indispensabile, sentire gli abusati, ed è importante che i loro racconti provochino il nostro pianto, purché quelle lacrime siano collirio per purificare lo sguardo dello spirito e non solo la copertina di un’emozione. Per questo gli organizzatori del summit hanno voluto sin da subito circoscrivere il terreno di lavoro dei vescovi in Vaticano dentro il perimetro di tre parole chiave. Innanzitutto responsabilità, verso le vittime, la Chiesa, i confratelli, il popolo di Dio e la società.

Quindi trasparenza, nell’opera di prevenzione e cura degli abusi e più in generale nel servizio alla comunità. Infine, anzi soprattutto accountability, termine inglese quasi intraducibile, che in italiano, mediato dal diritto societario, significa più o meno 'rendere conto'. È il concetto già in qualche modo esplicitato nel motu proprio di Francesco Come una madre amorevole, testo che indica tra le cause della rimozione di un pastore anche la sua negligenza verso gli abusi sessuali sui più fragili.

Detto in altro modo, stop agli insabbiamenti, basta minimizzare, mai più trasferimenti di un 'predatore' da una parrocchia all’altra nella speranza (vana) che il viaggio porti guarigione. E per rendere ancora più chiaro l’itinerario da seguire, per ridurre al minimo la possibilità di incomprensioni, è stata realizzata una vera e propria road map anti-abusi. Sono 21 punti di lavoro studiati per aiutare la discussione di questi giorni, ma più ancora per arrivare a formule e modelli concreti applicabili da tutte le Chiese del mondo. Si va dalla valutazione psicologia dei seminaristi all’innalzamento dell’età minima per il matrimonio, da un codice di condotta obbligatorio per i chierici alla realizzazione di organismi in cui sia facile denunciare i delitti.

E poi l’informazione delle autorità civili ed ecclesiastiche, il varo di protocolli specifici per le accuse verso i pastori, la preparazione di cure delle comunità ferite e di itinerari penitenziali e di recupero per i colpevoli. Se una cosa infatti non può essere tollerabile è che i vescovi lascino il Vaticano senza sapere con chiarezza cosa fare e cosa no, dove investire le proprie energie pastorali, quali misure adottare per colpire sul nascere la bestia della violenza sessuale.

La sfida da vincere, come si capisce, è grande, almeno quanto il rischio accettato, anzi sollecitato dal Papa, di convocare un grande dibattito pubblico su un tema che chiede comunione tra tutte le forze della Chiesa ma che potrebbe anche provocare dolorose divisioni. Almeno di metodo e di priorità di intervento, se non proprio di valutazione. Un pericolo che tuttavia passa in secondo piano di fronte all’urgenza di mettere al centro i più fragili, i piccoli del Vangelo, i prediletti del Signore. Dobbiamo – ha ribadito il Papa in apertura – ascoltare il «loro grido ». Che non è un banale urlo ma una domanda di giustizia, è il dolore che non ha più argini, è il sangue che si fa parola. E che ha bisogno di un cuore nuovo per essere ascoltato, per diventare un vocabolario che tutti possano capire.

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