La tragedia del Mottarone: in quella cabina c'era il mondo
mercoledì 26 maggio 2021

C’è una telecamera che ha ripreso il cavo traente della funivia di Mottarone nel momento esatto in cui si spezza. Si spacca, e le due estremità fanno un balzo. Il disastro comincia da lì. Adesso lo sappiamo. Quattordici vite sono state spezzate insieme con quel cavo, e non sono un pezzetto di Stresa, un pezzetto della provincia di Verbano-Cusio-Ossola, un pezzetto di Piemonte: sono un pezzetto del mondo. Vengono da tutti i punti cardinali. Anche quell’angolo di mondo è multietnico. Si rimane sorpresi, guardando quelle morti. Molte sono inattese, nomi stranieri, professioni rare. Mi soffermo e guardo.

C’è una ventisettenne calabrese che ha una laurea in scienze naturali e una specializzazione in monitoraggio e riqualificazione ambientale: una volta questi erano studi di nicchia, ma oggi devi essere utile e sei utile se sai quel che gli altri non sanno. Devi saperlo bene, difatti questa laureata ha preso 110 e lode. Devi aver studiato in una università prestigiosa, difatti questa è laureata alla Sapienza. Il tuo primo modo di guadagnare è la borsa di studio. La data della vincita di una borsa di studio è la tua data di nascita nella vita del lavoro: questa ragazza era nata due mesi fa, quando aveva vinto una borsa di studio del Cnr. È un modo trionfale di cominciare a guadagnare: ti sceglie il Cnr, in un confronto pubblico, non un padrone nel segreto del suo ufficio, per raccomandazione. Questo è il lavoro. E la vita? Questa ragazza studiava le microplastiche del lago Maggiore ed era appena venuto a trovarla il fidanzato. Come si chiama? Shahaisavandi Mohammandrez, aveva 23 anni ed era di origine iraniana.

Le vittime della funivia

Le vittime della funivia - Ansa

I nostri figli vanno in capo al mondo e tornano fidanzati. Ci domandiamo sempre come avverrà la pacificazione del mondo. Ma mentre noi, vecchi, ce lo domandiamo, i giovani lo pacificano, stabilendo amicizie e relazioni. Per noi sono un’italiana e un iraniano, ma loro si sentono due ragazzi e basta, due coetanei e dunque amici. In questa cabina c’era anche Amit Biran di trent’anni e la moglie Tal di 26: sono israeliani, e vivevano in Italia con i due figli Tom e Eitan. Tom ahimè non c’è più. Eitan è ancora vivo, non si parla che di lui, pare che, se salviamo lui, simbolicamente salviamo tutti.

Tal aveva con sé due nonni, Itshak Cohen e Barbara Komisky, venuti apposta da Tel Aviv. C’era il mondo in questa cabina, c’è il mondo dappertutto. Amit è italiano e s’è laureato in medicina a Pavia, aveva già trovato un lavoro come tirocinante.

Sulla cabina c’era anche una coppia di Varese, Alessandro Merlo e Silvia Malnati, fidanzati da quasi dieci anni: ci sono matrimoni che durano molto meno, questi fidanzamenti interminabili sono di fatto matrimoni non celebrati. Anche questo è un segno dei tempi: la difficoltà di metter su famiglia. Il viaggio verso la famiglia è la gita al faro dei nostri giorni. Tra i morti c’è un bambino di cinque anni, di nome Mattia, i cui genitori, di 55 e 38 anni, volevano sposarsi il 24 giugno. Manca poco, ma sono morti. Aspettavano fra pochi giorni il massimo della vita, vivere col loro bambino. Son passati dal tutto al niente.

In cronaca leggo una notizia curiosa su Silvia: amava una massima di Goethe, che dice così: «Qualunque cosa tu voglia fare, comincia subito». Povera Silvia! Aveva fretta, voleva vivere subito, ma restava bloccata nel fidanzamento da dieci anni. È una colpa dei nostri tempi. Questa cabina è la piccola Spoon River dei nostri giorni.

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