venerdì 9 aprile 2021
I primi ambivalenti passi dell'amministrazione Biden sull'asse Est-Ovest
L’iniziativa diplomatica degli Usa cerca la contrapposizione ideologica con la Cina: uno schema rischioso se la sfida è sul terreno economico e tecnologico

L’iniziativa diplomatica degli Usa cerca la contrapposizione ideologica con la Cina: uno schema rischioso se la sfida è sul terreno economico e tecnologico - Ansa

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Nelle ultime settimane gli Stati Uniti d’America hanno dispiegato una vistosa iniziativa diplomatica. Il presidente Joe Biden ha partecipato a due vertici virtuali con gli alleati asiatici e con quelli europei, mentre il segretario di Stato Tony Blinken volava in Asia e in Europa per incontrarli direttamente. In mezzo, si è svolto il primo incontro ad altissimo livello ministeriale tra Stati Uniti e Cina, ad Anchorage in Alaska, caratterizzato da un fuori programma in cui le due parti si sono scambiate pubblicamente accuse durissime. Tutto ciò mostra che al primo posto, nell’agenda americana, c’è oggi la Cina e molti parlano di nuova 'guerra fredda' per definire i rapporti tra i due Paesi (oppure tra gli Stati Uniti e i loro alleati da una parte e Cina-Russia con i loro alleati dall’altra). Non è però chiaro con quali obiettivi concreti si evoca oggi la contrapposizione Est-Ovest che, tra 1947 e 1989, ha provocato l’incubo nucleare, conflitti 'periferici' con milioni di morti, dalla Corea al Vietnam, dal Medio Oriente al Corno d’Africa, la caccia alle streghe maccartista e il muro di Berlino, insomma uno scontro totale e senza precedenti.

Sulla questione si è aperta una intensa discussione. Nei confronti della Cina – hanno scritto Josh Rogin e Hugh Hewitt sul 'Washington Post' – Biden non può non seguire la strada tracciata da Trump e, soprattutto, dai duri – gli hard-liners – come Mike Pompeo che vedono nei comunisti cinesi un nemico cui contrapporsi frontalmente. Questo approccio privilegia lo scontro ideologico, interpretando un sentimento diffuso nella società americana e sottolineando le analogie tra vecchia e nuova guerra fredda. È un richiamo che evoca implicitamente l’uso della forza ed è possibile che settori militari spingano in questo senso. Ma davvero dalla contrapposizione ideologica si passerà a un confronto militare globale come durante la vecchia contrapposizione Est-Ovest?

In realtà, molte cose sono cambiate. Nello scenario internazionale del secolo scorso l’Asia era periferica mentre l’Europa occupava un posto centrale, oggi è piuttosto vero il contrario. C’è poi una differenza ancora più profonda. Allora il controllo fisico del territorio aveva un’importanza decisiva. La 'cortina di ferro' che ha diviso l’Europa per decenni ha costituito una linea che nessuna delle due parti avrebbe potuto superare senza provocare automaticamente la guerra: nessuno lo fece e il conflitto si sviluppò su altri piani (economico, tecnologico, culturale, psicologico e, persino, religioso). È molto significativo infine che la vecchia guerra fredda non sia finita con la vittoria di una delle due parti – l’Occidente – a seguito di uno scontro diretto: il collasso del blocco sovietico è stato provocato da un insieme di fattori, tra cui grande rilievo hanno avuto le trasformazioni dell’economia mondiale cui questo blocco non ha saputo adeguarsi. Non hanno vinto gli eserciti ma i mercati e, insieme, anche se troppe volte lo si dimentica da parte dei vincitori 'ideologici', fede e spirito di popoli non rassegnati al totalitarismo.


All’opposto della dottrina isolazionista di Trump, la nuova amministrazione vuole unire tendenze diverse per organizzare un vasto campo occidentale intorno alla leadership di Washington

Negli anni della vecchia guerra fredda, insomma, il mondo ha compiuto un percorso che non è possibile rifare in senso inverso. Per David Sanger, che lo ha scritto sul 'New York Times', il paragone con lo scontro Est-Ovest del secolo scorso è sbagliato perché il confronto militare gioca oggi un ruolo di secondo piano, mentre le questioni importanti riguardano la capacità di espansione economica e l’influenza su altri Paesi attraverso nuovi mezzi tecnologici. È una convinzione condivisa dal consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, secondo cui non va attribuita alla Cina la ricerca di uno scontro militare diretto con gli Usa nel Pacifico, perché «il potere economico e tecnologico è fondamentalmente più importante del potere militare tradizionale per stabilire la leadership globale» e «una sfera fisica di influenza nell’Asia orientale non è una precondizione necessaria per sostenere tale leadership». Su 'Foreign Affairs', Charles Kupchan ne ha tratto le conseguenze proponendo un paragone del tutto diverso: quello con il Congresso di Vienna nel 1815, convocato per costruire, in assenza di una potenza egemone, un nuovo ordine internazionale basato sul- l’accordo tra Paesi rivali. Oggi, scrive, è venuto meno il sistema multilaterale stabilito dopo la Seconda guerra mondiale e si tratta di crearne uno nuovo. Il mondo, insomma, è diventato definitivamente multipolare, gli Usa non possono sperare di tornare egemoni e occorre un nuovo 'concerto' internazionale.

Tra tante opinioni diverse, l’Amministrazione Biden deve fare le sue scelte. Il presidente americano ha definito Vladimir Putin un «killer», mentre Blinken ha u- sato parole molto dure contro la politica cinese nello Xinjiang, a Hong Kong e verso Taiwan, parlando di genocidio degli uiguri e rilanciando la tesi che il Covid-19 sia uscito dai laboratori di Wuhan. Fino a far trapelare l’ipotesi, poi smentita dalla Casa Bianca, di un boicottaggio delle Olimpiadi invernali del 2022 in Cina. Alla politica di Pechino la diplomazia americana contrappone i valori della democrazia, il rispetto dei diritti umani, la trasparenza nell’informazione ecc. I cinesi hanno risposto per le rime, difendendo la sovranità nazionale della Cina che gli interventi occidentali non rispetterebbero. Lo scontro su questi temi è diventato durissimo sul piano verbale, con l’aggiunta di sanzioni mirate e di proteste diplomatiche che hanno coinvolto anche gli alleati europei e, in parte, quelli asiatici. Al tempo stesso, però, Biden non si è precluso la via della pace, aprendo alla collaborazione con la Cina su questioni epocali come i cambiamenti climatici, dossier affidato a Jonh Kerry, segretario di Stato con Obama e considerato oggi una 'colomba'. Ci sono poi situazioni specifiche in cui gli interessi sono - in parte - convergenti, dall’Iran alla Corea del Nord e, per certi aspetti, persino al Myanmar, per cui il governo cinese ha auspicato una pacificazione interna, come ha sottolineato l’'Osservatore romano'. Cruciale è inoltre la possibilità di un accordo sulla limitazione delle armi (nucleari e no).


Oggi come ieri, c’è anche un livello morale, spirituale e religioso che sarebbe grave sottovalutare o ignorare Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden

Finora, insomma, l’Amministrazione Biden sembra voler unire tendenze molto diverse, puntando su un obiettivo immediato: organizzare un vasto campo occidentale intorno alla leadership di Washington (all’opposto dell’isolazionismo praticato da Trump). A questo fine il richiamo alla guerra fredda ha una sua utilità: lo scontro ideologico, infatti, compatta un’opinione pubblica interna altrimenti variegata e avvicina alleati che hanno interessi assai diversi. Ma, alla lunga, questa tattica comporta un pericolo, ha costi elevati e lascia irrisolto il problema di fondo. Il pericolo è quello sempre presente quando si evocano fantasmi terribili come la guerra fredda: una volta fatto uscire dal vaso si potrà farlo tornare indietro? La possibilità di uno scontro militare tra Stati Uniti e Cina fa intravedere scenari da incubo. Uno dei costi è quello di bruciare un patrimonio di rapporti preziosi tra le classi dirigenti dei due Paesi accumulato in decenni di paziente collaborazione sinoamericana e di alimentare un nazionalismo cinese che potrebbe diventare incontrollabile.

Infine, se la battaglia decisiva si gioca sul terreno economico e tecnologico, lo schema dei due campi contrapposti non sembra calzante: molti alleati degli Usa, sia europei sia asiatici, hanno intensi rapporti economici con la Cina e, alla lunga, sarà necessario coinvolgere anche 'i non allineati' dell’Africa o dell’America latina. Economia e tecnologia spingono insomma verso nuove forme di confronto-concorrenza, complesse e intrecciate, che richiederanno anche nuove regole comuni. E, oggi come ieri, c’è anche un livello morale, spirituale e religioso che sarebbe grave e controproducente sottovalutare o ignorare del tutto. C’è un futuro da preparare fin da adesso, avviando iniziative per stabilizzare il multipolarismo e la collaborazione tra diversi e uguali.


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