sabato 5 agosto 2017
La storia attraverso i necrologi dell'Osservatore Romano. Vescovi "ufficiali" e no dalla galera ai lavori più strani
L'ex vescovo di Hong Kong, il cardinale Zen, a una messa per l'ordinazione di sacerdoti

L'ex vescovo di Hong Kong, il cardinale Zen, a una messa per l'ordinazione di sacerdoti

COMMENTA E CONDIVIDI

Quella pubblicata in questa pagina è un’ampia sintesi dell’Introduzione al volume 'Vescovi nella terra di Confucio' (Libreria editrice vaticana, pag. 216, euro 14). L’opera, da poco in libreria, raccoglie i necrologi dei vescovi cinesi pubblicati dall’Osservatore Romano dal 2004 ad oggi. Il libro curato da Gianni Cardinale riproduce in appendice la 'Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese' di Benedetto XVI del 2007 e pubblica un elenco, non ufficiale, dei vescovi cinesi ancora in vita. Firma la prefazione monsignor Bruno Fabio Pighin, ordinario della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia e massimo esperto della figura di Celso Costantini, primo delegato apostolico vaticano in Cina.

E' noto che L’Osservatore Romano pubblica, sotto la rubrica 'Lutto nell’episcopato', la notizia della morte di tutti i vescovi cattolici defunti, non appena la comunicazione della loro scomparsa arrivi in Vaticano. Così, quando sul foglio vaticano dell’8 aprile del 2004 apparve il necrologio del presule cinese Michele Huang Woze, vescovo di Nanchong, venuto meno il 22 marzo alla veneranda età di 99 anni, il fatto poteva sembrare scontato. In realtà non era così. Si trattò, infatti, di una piccola svolta, 'giornalistica' ma non solo. Era la prima volta che L’Osservatore Romano dava notizia ufficiale della morte di un vescovo cinese, ordinato dopo la rottura del regime comunista di Pechino con la Santa Sede del 1951. Infatti, venendo meno a poco a poco quelli ordinati prima di tale data, i vescovi della Cina Continentale erano diventati di fatto 'inesistenti' per le pubblicazioni della Santa Sede, sia che fossero 'ufficiali' (cioè riconosciuti dal Governo) – illegittimi o legittimati dalla Santa Sede oppure, a volte, legittimi –, sia che fossero 'clandestini' (cioè non considerati vescovi dall’autorità civile). Nessuno di questi vescovi era segnalato sull’Annuario Pontificio, il who’s who ufficiale del Vaticano. Né tantomeno L’Osservatore Romano pubblicava, in prima pagina, le nomine dei nuovi vescovi cinesi riconosciuti dalla Santa Sede, come fa invece per tutte le altre diocesi del mondo. E il quotidiano vaticano si guardava bene anche dal pubblicarne i necrologi. Almeno fino all’8 aprile 2004, quando appunto venne ricordata la figura di monsignor Huang Woze, vescovo 'ufficiale' e riconosciuto dalla Santa Sede. Da quel momento L’Osservatore Romano ha sistematicamente pubblicato i necrologi ufficiali di tutti i vescovi in comunione con Roma via via passati a miglior vita.

E non si è trattato di necrologi di circostanza. Ma di tante piccole testimonianze che, messe insieme, vogliono offrire – e tale vuole essere il fine di questa pubblicazione – alcune tessere del più ampio mosaico della storia della Chiesa in Cina dell’ultimo secolo. Una storia di gioie e di tribolazioni, di santità e di cadute. Dalla svolta missionaria segnata dalla Lettera apostolica ' Maximum Illud' di Benedetto XV nel 1919, alle prime ordinazioni di vescovi autoctoni, officiate da Pio XI nel 1926. Dalla nomina dell’arcivescovo Celso Costantini a primo delegato apostolico in Cina nel 1922 sempre con Papa Ratti, allo storico allaccio dei rapporti diplomatici con la Santa Sede del 1942 sotto Pio XII. Dalla costituzione della gerarchia cattolica nel 1946 all’espulsione dell’internunzio apostolico Antonio Riberi nel 1951, dopo che nel 1949 Mao Zedong aveva proclamato la nascita della Repubblica Popolare. Dalla costituzione dell’Associazione Patriottica Cattolica Cinese formalizzata nel 1957, alle prime consacrazioni episcopali illegittime del 1958. Dal periodo particolarmente buio della Rivoluzione Culturale (1966-1976) – quando la persecuzione coinvolse anche i presuli approvati dal Governo e non riconosciuti dalla Santa Sede –, alle aperture promosse da Deng Xiaoping nei successivi anni Ottanta. Dalle ordinazioni episcopali clandestine favorite dalle 'facoltà specialissime' (concesse nel 1981 e revocate nel 2007 con la Lettera ai cattolici cinesi scritta da Benedetto XVI, che permettevano ai presuli in comunione con Roma di scegliere e ordinare nuovi vescovi, con il solo obbligo di informare successivamente la Santa Sede), alla mancata partecipazione – imposta dal Governo – dei vescovi cinesi invitati a Roma da Giovanni Paolo II per il Sinodo Speciale per l’Asia del 1998 e da Benedetto XVI per il Sinodo sull’Eucaristia del 2005.

Leggendo i necrologi si noterà che la maggior parte dei vescovi ha trascorso anni – anche 30! – in prigione. Moltissimi hanno subito l’esperienza dei campi di rieducazione e/o hanno dovuto arrangiarsi a svolgere lavori umili e a volte anche sorprendenti. C’è chi fu costretto ai lavori forzati in una miniera di sale, in una cava di pietra o in una fabbrica di scarpe, oppure ad accudire bestiame o pascolare porci. C’è chi si industriò a fabbricare mattoni, a coltivare banane, ad allevare conigli o polli, a vendere fertilizzanti, e chi divenne venditore ambulante o calzolaio. Ma ci fu anche chi lavorò come ragioniere, come direttore di clinica oculistica o vicedirettore di industria alimentare. I necrologi dimostrano la molteplicità delle sfaccettature dei rapporti tra i diversi vescovi con il regime. Ci sono casi in cui ai presuli defunti vengono negati funerali pubblici ma anche esequie a cui hanno partecipato le autorità governative. In alcune diocesi, poi, i vescovi hanno potuto costruire opere sociali importanti come cliniche o brefotrofi, mentre in altre realtà sono stati impediti praticamente di ogni testimonianza pubblica. In alcuni necrologi poi traspare in tutta la sua complessità la questione della difficile convivenza tra le comunità clandestine, che non vogliono avere a che fare con gli organismi governativi, e quelle ufficiali, riconosciute dalle autorità civili e inserite nell’Associazione patriottica.

Tre diverse personalità di vescovi, che hanno ricevuto necrologi particolarmente approfonditi, possono essere considerati esemplari delle diverse modalità con cui i vescovi cinesi hanno potuto esercitare il loro ministero negli ultimi decenni. Quella di Antonio Li Du’an, scomparso nel 2006, vescovo riconosciuto contemporaneamente dalla Santa Sede e dal Governo durante tutto il suo mandato, «una delle figure più luminose dell’episcopato cinese», che, «fermo sui principi della fede cattolica», si è «adoperato per dialogare con tutti, cercando sempre possibili punti di intesa e spazi utili per l’annuncio del Vangelo». Quella del gesuita Aloysius Jin Luxian, scomparso nel 2013, «personalità chiave nella storia della Chiesa cattolica in Cina», consacrato illecitamente nel 1985 dopo aver trascorso 27 anni in prigione, perdonato e riconosciuto una quindicina di anni dopo. E quella dell’altro gesuita Giuseppe Fan Zhongliang, scomparso nel 2014, uno dei 'grandi pilastri' della Chiesa in Cina, «testimone coraggioso e perseverante della fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Santo Padre» che ha «sempre esercitato il ministero episcopale nella clandestinità».

I vescovi cinesi in attività sono ormai riconosciuti, in grande maggioranza, sia dal Governo che dalla Santa Sede e sono, quindi, 'ufficiali' e 'legittimi'. Sono solo sette, invece, i vescovi 'ufficiali' viventi non ancora riconosciuti dalla Santa Sede (ad Anhui, Leshan, Xiapu/Mindong, Shantou, Kunming, Chengde e Harbin/Heilongjiang), di cui tre (a Leshan, Shantou, Heilongjang) scomunicati dichiarati. Il cardinale John Tong Hon, vescovo emerito di Hong Kong, lo scorso febbraio ha spiegato che tutti e sette hanno fatto richiesta di perdono e che i loro casi sono allo studio della Santa Sede. Scorrendo l’elenco dei vescovi cinesi in vita, si noterà come non poche diocesi sono vacanti o con un ordinario molto avanti negli anni, sia tra quelle dell’elenco vigente per la Santa Sede, sia tra quelle della lista determinata unilateralmente dal governo. Alla luce di questo stato di fatto risulta quanto mai doveroso quindi l’auspicio che tra Roma e Pechino venga finalmente raggiunto un accordo sulle nomine episcopali. Cosicché nelle pubblicazioni ufficiali della Santa Sede possano essere menzionati non solo i vescovi passati a miglior vita, ma vi siano indicati anche i vivi, come avviene per quelli di tutto il resto dell’orbe cattolico.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: