mercoledì 25 aprile 2018
(Siciliani)

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Le elezioni del 4 marzo hanno fatto registrare una presenza di giovani alle urne decisamente superiore alle attese. I giovani sono quindi andati a votare, nonostante un trend in forte decrescita negli ultimi anni e una disaffezione verso la politica in continuo incremento. L’affluenza è stata di poco superiore al 70%, assolutamente in linea con le altre fasce della popolazione. Nei mesi precedenti le elezioni, i segnali erano certamente di grande malcontento e di profonda indecisione: emergeva però più forte l’indecisione che la voglia di astenersi, predominante la disillusione che il disinteresse. Si prospettava infatti non tanto un segnale di rinuncia dei giovani quanto una voglia di lanciare e lasciare un messaggio di inquietudine. E il voto espresso dai giovani è stato chiaro e decisivo ai fini dell’esito finale: molti si sono pronunciati non tanto dettati da una reale convinzione ma mossi da un’insoddisfazione verso un Paese che continua a lasciarli ai margini. E quindi, per molti, il voto non è stato espressione reale di cosa vogliono quanto più un segnale di quello che non vogliono più, ovvero un’offerta e un sistema politico che in questi ultimi anni non ha parlato con loro, non ha parlato di loro, e non li ha fatti parlare.


Il 40,9% dei giovani ha infatti dichiarato di essersi recato alle urne senza una solida convinzione. Il 22,2% si è trovato a scegliere alla fine il 'meno peggio' e il 18,7% a votare soprattutto per non far prevalere altre forze politiche considerate dannose per il Paese. Quasi un giovane su 4 ha deciso per chi votare a ridosso delle elezioni o addirittura in cabina elettorale. I partiti più tradizionali, e che maggiormente hanno rappresentato la politica degli ultimi decenni, sono stati i più penalizzati dalle nuove generazioni, che hanno così manifestato il loro profondo malcontento, rivolgendo il loro sguardo verso movimenti più anti-sistema e forze che non hanno avuto recenti esperienze di governo.

Al 4 marzo si è giunti con un percorso e una campagna elettorale che agli occhi dei giovani sono apparsi poco convincenti, credibili e coinvolgenti. La sintesi di questo clima stagnante è ben presentata in un capitolo del Rapporto Giovani 2018, edito da Il Mulino, appena uscito, nel quale viene illustrato il rapporto tra giovani e politica, tra voglia di partecipazione e mancanza di rappresentanza. I rispondenti del panel Rapporto Giovani – indagine condotta dall’Istituto Toniolo e realizzata in collaborazione con Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo – sono stati seguiti longitudinalmente sul tema della politica per diversi mesi, con 4 indagini di approfondimento, 3 antecedenti le elezioni e una immediatamente successiva. Il dato che ha caratterizzato ogni rilevazione è stato un alto grado di disaffezione, non tanto verso la politica nel suo primordiale significato quanto verso il sistema politico italiano attuale, e nello specifico verso i partiti. A un anno dal recente voto il 34,4% dei giovani non assegnava a nessuna forza politica un punteggio di sufficienza. Questa percentuale saliva a pochi mesi dalle elezioni fino a quota 40,7%, per scendere parzialmente al 34,7% a ridosso delle urne. La disaffezione appariva e appare tuttora trasversale per genere, titolo di studio, provenienza e professione, e sfocia in una fiducia nei confronti delle istituzioni molto bassa. In una sorta di effetto trascinamento, non riguarda solo le istituzioni più politiche, ma finisce per coinvolgere anche altre istituzioni del mondo sociale e del tessuto economico, come Scuola, Forze dell’Ordine, Piccole-Medie Imprese, Ospedali e Volontariato.


L'orientamento politico dei giovani è apparso da subito molto articolato e di difficile lettura, con una bassa adesione ai partiti tradizionali, disaffezione generalizzata, alta disponibilità a dar consenso a chi dà voce alla protesta e alla frustrazione. È il ritratto, quindi, di una generazione delusa e confusa rispetto all’offerta attuale, ma soprattutto rispetto alla propria condizione, con una domanda di alleati credibili e coinvolgenti con i quali immaginare un destino migliore.

I dati di affluenza reali alle urne hanno, però, solo in parte confermato la tendenza che c’era in atto nelle ultime settimane. Anche tra i giovani poco meno di 3 elettori su 10 ha scelto di non esercitare il proprio voto, confermando solo parzialmente il quadro di forte disaffezione che traspariva, confermando i segnali di malcontento, premiando forze anti-sistema, come il Movimento 5 Stelle, di gran lunga preferito nella fascia giovanile, con punte di ben oltre il 40% in alcune zone del Paese. I fattori che hanno agito maggiormente sulla presa di decisione sono stati la costante attenzione verso offerte politiche nuove o con dosi di forte rinnovamento interno, e messaggi chiari, semplici, decisi.

Complessivamente i temi che maggiormente mettono d’accordo l’elettorato giovanile sono la riduzione delle indennità e l’abolizione dei vitalizi, che raccoglie il parere favorevole di oltre l’80% di tutti gli intervistati, e tutte le politiche che favoriscono l’ingresso nel mondo del lavoro, che soprattutto dai più giovani è visto come elemento di estrema preoccupazione. Per quasi un neo-elettore su due questo è il tema fondamentale, così come la distribuzione di risorse tra generazioni, la giustizia sociale e la meritocrazia, temi che la campagna elettorale ha solo marginalmente affrontato.


Il rapporto giovani-politica è apparso alquanto ambivalente. Alla base di tutto, infatti, troviamo uno scarso interesse per come è oggi vista la politica in Italia. A bocciarla è oltre la metà dei giovani (52,9%). Ci sono però rilevanti differenze per titolo di studio e in particolare rispetto alle condizioni in cui i giovani si trovano. Gli studenti, non ancora confrontati con le difficoltà del mondo del lavoro, pur avendole presenti essendo discusse nel dibattito pubblico, tendono a essere molto più favorevoli (voto positivo per circa il 60% di essi, anche se solo uno su 5 promuove con voti elevati). Chi ha un lavoro (spesso non del tutto coerente con la propria formazione e con retribuzioni mediobasse) è molto più critico (i voti positivi scendono al 46% circa). I Neet sono i più severi: solo il 36% promuove la politica italiana attuale. Per oltre il 40% dell’elettorato giovanile la politica è da bocciare senza appello, e per il 76% la politica non offre spazio di partecipazione o lo offre in modo molto limitato. Eppure l’ambivalenza è evidente: per il 70,7% la politica è uno strumento utile per migliorare la vita dei cittadini, e questa percentuale sale al 77,9% tra i più giovani. In coloro che si sono affacciati per la prima volta o da poco al mondo della politica sembra quindi esserci ancora uno spiraglio di fiducia e di possibilità che i partiti devono in qualche modo alimentare e tenere vivo con proposte convincenti e credibili, a partire proprio dal tema dell’ingresso nel mondo del lavoro, considerato prioritario per l’elettorato più giovane. La politica che prova a rinnovarsi piace ai giovani, fa scattare in essi una apertura di credito che deve però poi trovare conferma alla fatale prova dei fatti. Ed è a questa prova che ora le forze vincenti sono chiamate a rispondere e che non convince pienamente i giovani. Il fuoco in loro è vivo, e momentaneamente solo sopìto. Compito della politica, dei politici e dei partiti risvegliarlo. Le corde per attivare i giovani sono a lì disposizione, occorre solo toccarle.

Ricercatore in Statistica sociale Facoltà di Psicologia Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

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