Puglisi e gli altri. La vittoria culturale sulla «mafia buona»
sabato 20 ottobre 2018

La storia della vita e della morte di padre Puglisi rende un’idea della violenza incombente e senza limiti di quella condizione di offesa continua alla dignità umana in cui si viveva a Palermo, e che a padre Puglisi fece dire: «Chi usa la violenza non è un uomo, si degrada da solo al rango di animale».

E di questa minaccia imminente, di questo rischio della vita tanti erano consapevoli: persone comuni e persone più esposte per il lavoro che facevano o il ruolo che ricoprivano. Lo erano Falcone e Borsellino, lo erano Piersanti Mattarella e Pio La Torre, lo era Padre Puglisi, che si preoccupò di non esporre a pericolo i suoi amici, quelli che gli erano stati affidati dal Padre (Gv. 17,8). E di quei rischi erano consapevoli tanti altri che, per un caso o per un disegno della Provvidenza, non sono stati colpiti dalla violenza mafiosa. Riandando con il pensiero a quegli anni, penso che tanti, tantissimi, hanno cercato di portare avanti, a Palermo e in Sicilia, una 'normalità impossibile'.

Proprio perché la situazione era questa io credo che sia giusto ripetere in ogni occasione che noi, cioè lo Stato italiano, abbiamo sconfitto quella mafia, la Cosa nostra corleonese, la mafia delle stragi, la mafia che aveva sfidato lo Stato pretendendo di trattare da una posizione di superiorità. Una sfida che è durata troppo a lungo, costata troppe vittime e troppi sacrifici, ma che è stata vinta senza leggi eccezionali, nel rispetto della Costituzione e dei codici. Il delitto di Brancaccio, insieme alle bombe piazzate proprio dai mafiosi agli ordini dei Graviano a San Giovanni («cuore della Roma cristiana», secondo la definizione del cardinale Ruini) e a San Giorgio al Velabro il 27 luglio 1993, rappresentano una intimidazione a tutta la Chiesa e una risposta alle parole pronunziate da Giovanni Paolo II ad Agrigento poche settimane prima, il 9 maggio.

Queste parole colpirono profondamente i mafiosi perché denunziavano direttamente una delle ipocrisie chiave nella falsa rappresentazione che le mafie danno di sé: quella di essere una vera religione, coerente e compatibile con quella cattolica, ancora così importante nelle nostre regioni. Naturalmente la vittoria processuale, se così si può dire, sulla mafia corleonese è frutto anche di una battaglia culturale che è e che sarà decisiva per la vittoria su tutte le mafie. E su questo punto cruciale l’esempio di padre Puglisi rimane di assoluta attualità. Diceva: «Non dobbiamo tacere, bisogna andare avanti. Ciò che è un diritto non si deve chiedere come fosse un favore». Parole ancora attuali, e non solo a Palermo.

Mi tornano in mente le parole di Paolo Borsellino che invitava a parlare comunque, in ogni occasione, della mafia, perché la mafia cerca il silenzio, il nascondimento, la disinformazione, come si vede in ogni parte d’Italia. Quelle di padre Puglisi non erano solo parole vane, ma parole che generavano effetti inaccettabili per i mafiosi. Naturalmente non era un illuso. E la sua frase più famosa, «se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto», segue l’affermazione piena di realismo con cui mette in guardia i suoi amici: «Le nostre iniziative devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio.

Questa è un’illusione che non possiamo permetterci». A queste parole di Padre Puglisi io vorrei affiancare quelle di due altri grandi siciliani. Giovanni Falcone: «Si può sempre fare qualcosa» dovrebbe essere scritto sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto. Piersanti Mattarella, in un discorso ai giovani, disse: «Non vi lamentate se il personale politico della Dc siciliana è mediocre e impresentabile, perché la responsabilità più grande e più grave è quella degli onesti e dei capaci che se ne lavano le mani e non si impegnano per cambiare le cose».

Lo storico Andrea Riccardi si chiede se alla fine per Mattarella, come per Puglisi, non si possa parlare di vite sprecate per realizzare sogni impossibili. Al di là della risposta della fede – che riguarda la coscienza di ognuno e che si basa sulla parabola, cara a padre Puglisi, del chicco di grano che se non cade e marcisce non dà frutto – anche in una logica laica gli esempi di Mattarella e di padre Puglisi, uniti a quelli di tanti altri, hanno portato frutto. Non solo per quella che ho definito la sconfitta processuale della mafia corleonese, ma anche sul piano – decisivo – della crescita culturale.

Fino a non molto tempo fa 'mafia' non coincideva affatto con 'criminalità'; si poteva essere mafiosi senza sentirsi né essere considerati delinquenti. Oggi non è più così. Nessuno più oserebbe parlare di una 'mafia buona' o definire la mafia 'un normale modo di comportarsi'. Ecco, io – che ho vissuto quei tempi in cui tutto questo avveniva – credo che si tratti di un cambiamento di fondamentale importanza, determinato certo dalle stragi e dalle migliaia di vittime, ma anche dall’esempio positivo di tanti, a cominciare naturalmente da quello, eroico fino al martirio, di padre Pino Puglisi.

Magistrato, procuratore della Repubblica di Roma

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