sabato 20 febbraio 2021
Ogni italiano butta 27 chili di generi alimentari ogni anno. Ci vorrebbero accordi per mettere in rete donatori e beneficiari, un sistema logistico sostenibile e un coordinamento nazionale
Sprechiamo ancora troppo cibo: servono nuovi atteggiamenti

Ansa

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Caro direttore,
ho letto con interesse l’articolo di Fulvio Fulvi del 3 febbraio 2021 nel quale si evidenzia che nelle case italiane dove vivono due persone, dunque anche in casa mia, si “buttano” in media 54 chili all’anno di prodotti edibili. Devo dirle che, a casa mia arriveremo con fatica in detto periodo a un chilo appena. Chi è allora che butta? Non le famiglie, credo, ma supermercati, negozi, mense, etc. Le statistiche riportate, a mio parere, non hanno senso: rivolgiamoci a chi spreca. Alle pasticcerie: quante paste buttano! Ai fruttivendoli: quanta verdura! Alla grande distribuzione organizzata: quanto dà al compostaggio, se lo fa? Ecco chi sono, secondo me, quelli che “buttano” e che devono cambiare metodo, non l’utenza.

Luigi Donnini Firenze

Gentile signor Donnini, il direttore mi invita a dialogare con lei e io comincio col dirle subito che lei e la sua famiglia rappresentate un esempio più che virtuoso nella lotta allo spreco alimentare. Buttare nel cassonetto appena un chilo di prodotti edibili in un anno è, infatti, il segno di una cura particolare nell’uso del cibo in casa. Significa scegliere la qualità quando si fa la spesa, non comprare troppo, guardare la data di scadenza e lo stato di freschezza dei prodotti per non essere costretti, qualche giorno dopo, a gettarli nella spazzatura perché ormai immangiabili. Un altro “accorgimento” che lei sicuramente avrà seguito, è quello di acquistare ogni volta solo il necessario da mettere in tavola o conservare nel frigo, per evitare gli avanzi, programmando, per quanto possibile, i pasti della settimana. Sprecare è un peccato (anche sociale) e tuttavia nel rapporto “Campagna Spreco Zero-Last Minute Market” (elaborato su dati Ipsos), come scritto nell’articolo da lei citato, risulta una media di 27 chili di alimenti sprecati pro-capite in tutto il 2020, risparmiando peraltro 3,6 chili rispetto all’anno precedente come conseguenza del lockdown e della pandemia che ci ha resi tutti più consapevoli delle nostre risorse e timorosi sulle prospettive economiche. Secondo questo recente studio, realizzato da una società collegata all’Università di Bologna, sarebbero dunque ben 54 i chili di cibo messi nel sacchetto dell’umido in 356 giorni da un nucleo familiare di due persone. E poiché si tratta di una media c’è da pensare che in Italia ci siano tantissimi cittadini accorti, come lei, e altri assai meno attenti quando fanno la spesa, soprattutto di frutta (ne sprechiamo, ognuno, mediamente, 2 chili l’anno), verdura, pane (1 chilo) e latticini freschi, che sono i beni più deperibili. Ma, se questo ci può consolare, non siamo gli ultimi in Europa. È necessaria, in ogni caso, una maggiore consapevolezza dei singoli individui, a partire dall’educazione dei giovani nelle scuole, per favorire stili di vita più consapevoli. Il nocciolo della questione sta poi nell’atteggiamento dei diversi soggetti della filiera: aziende agricole, industria, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio. Oltre ai rifiuti domestici infatti (in totale 1 milione e 600mila tonnellate l’anno), non dobbiamo dimenticare che esistono soprattutto gli scarti derivanti dalle attività che precedono il consumo finale, che sono la maggior parte: circa 3 milioni e 700mila tonnellate. E il compostaggio (processo di riciclo dei rifiuti domestici da cui si ricava a costo zero del fertilizzante) è ancora fermo al 30% del totale degli scarti prodotti. Che fare, allora? Servono innanzitutto accordi che consentano di mettere in rete donatori e beneficiari con obiettivi e procedure ben definite, un sistema logistico sostenibile e un coordinamento nazionale che possa facilitare le sinergie fra i tanti portatori di interesse: Ministeri (salute, welfare, agricoltura, ambiente, sviluppo economico), Città metropolitane e Comuni, la miriade di associazioni di volontariato che operano nel nostro Paese e, ovviamente, le imprese agroalimentari. Potrà essere, questo, uno dei compiti del nuovo Ministero della Transizione ecologica. E bisognerà rendere obbligatorie per legge (lo chiede l’85% degli italiani, secondo un sondaggio di Waste Watcher International) le donazioni oggi solo volontarie di cibo ritirato dalla vendita da parte di supermercati e imprese verso enti caritativi (come, ad esempio, la Fondazione Banco Alimentare) che aiutano i più bisognosi.

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