Sono i «Sì» che salvano
giovedì 14 giugno 2018

L’Italia e l’Europa non si salvano coi "no". Si salvano coi "sì". A cominciare dal più semplice e dal più decisivo: il sì alla vita umana. Se, invece, in tanti modi diversi ci si ingegna a dirle di "no" perché è scomoda, inattesa, costosa, malata, sporca, cattiva, migrante (e, magari, ha la pelle del colore che non ci piace) non salveremo niente e nessuno, tantomeno noi stessi e le nostre piccole o grandi patrie. E proprio adesso è necessario riuscire a dirlo quel "sì" e a renderne evidenti tutte le buone ragioni e l’impossibilità di fare a pezzi l’indispensabile e lucido assenso, separando la vita nascente da quella migrante, la vita dei bianchi da quella dei neri, la vita dei giusti da quella degli sbagliati... Bisogna dirlo con parole che abbiano significato e con fatti solidi ed eloquenti, efficaci le une e testardi gli altri nello sfidare di realtà le parole false e maligne, le politiche dannose e cattive, i fatti manipolati con cui ci si trascina ai "no" per paura e per rabbia. Due su tutti: no al figlio che non possiamo permetterci, no al povero straniero e invadente...

È proprio così: bisogna sentire il dovere morale e civile e politico (nel senso più alto e buono che sappiamo dare a questo termine: politico) di continuare a spiegare, e meglio di quanto abbiamo mai fatto, quanto sia necessario un "sì" alla vita umana, senza subordinate e senza cavilli, che per essere vero ed effettivo deve riguardare prima di tutto e senza esclusioni e fariseismi i più piccoli, gli inermi, i senza più terra e i senza potere.

Ci serve questa chiarezza e questo coraggio mentre il frastuono di «vomitevoli» polemiche e di ingiurie reciproche, l’infuriare delle propagande e il riarmo dei pensieri, che sempre precede quello delle mani, minacciano di condurre troppi europei e italiani a quell’esaltazione imbecille e feroce che è sempre stata la fonte dei peggiori nazionalismi e la madre di tutte le guerre e degli incubi più assurdi che hanno segnato di cicatrici profonde e amare la splendida e terribile storia delle nostre terre e della nostra gente, gente plurale come una e plurale è sempre stata l’Italia e una e plurale è l’Europa.

Stiamo all’Italia. E fermiamoci ad altezza di bambino. Perché, ieri, proprio i bambini, la vita più fragile e promettente e necessaria per ogni società e per il mondo degli uomini e delle donne, sono stati evocati e chiamati pubblicamente in causa, quasi portati di peso sulla scena del dibattito politico dalle parole del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, da quelle del ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, e dai drammatici dati del "Bilancio demografico nazionale 2017" stilato dall’Istat.

L’onorevole Salvini ora dice «mai più bambini morti di Stato» sulle vie delle migrazioni lungo le quali – anche se lui questo forse non l’ha chiaro e certo non l’ha detto – il più delle volte sono nati. Nati da madri e padri presenti e pieni di fatica e di speranza o, troppo spesso e terribilmente, da madri e da padri violentatori e aguzzini che di quei piccoli innocenti non si prenderanno mai cura, perché a loro è bastato prendere le donne che li hanno messi al mondo. Quando si parla di persone e soprattutto di bambini si maneggia una materia delicata, preziosa, e indisponibile a giochi di parole.

E se Salvini – con parole pesantissime, le più pesanti, e c’è da sperare pensate, tra quelle che ha fatto risuonare ieri nell’aula del Senato – ha detto da ministro «morti di Stato», questo atto di accusa grava su ogni Stato d’Occidente, d’Oriente e d’Africa che è complice della "tratta". Grava su ogni Stato che la "tratta" genera, con guerre condotte o fomentate attraverso la vendita di armi, con persecuzioni religiose e politiche, con il land grabbing, il divoramento della ricca terra dei poveri, e con le altre ingiustizie di un’«economia che uccide». E grava su ogni Stato che il lurido e omicida affare del traffico di esseri umani rende possibile con leggi che rendono inesorabilmente irregolari e sregolate le migrazioni. Bisognerà saper essere conseguenti, a cominciare dalla nostra Italia, con questa folgorante e lucida affermazione.

E più di un indizio segnala che non sarà affatto facile. Ma quelle parole non possono e non devono essere dimenticate: bambini «morti di Stato». E i loro cari, fratelli e sorelle maggiori, che migrando sono affogati nel Mediterraneo o si sono consumati lungo le piste d’Asia e d’Africa o sono stati schiantati nei lager libici non lo sono di meno: «morti di Stato».

Le migrazioni, piaccia o non piaccia a Governi e ministri e a interi settori di opinioni pubblica, si dirigono da sempre verso luoghi dove c’è 'spazio'. Noi italiani lo sappiamo bene. Ma sembra che i nostri rappresentanti politici se lo siano dimenticato, non a parole (quelle non sono mancate mai, da quasi tutti e in ogni campagna elettorale dell’ultimo quarto di secolo), ma nei fatti. Le assenti o intermittenti e contraddittorie e, comunque, mai strutturali politiche di sostegno alle giovani famiglie e alle famiglie con figli continuano a produrre i loro frutti amari.

I 'bambini mai più nati' d’Italia sono sempre più numerosi. E noi siamo e saremo sempre di meno. E nulla resisterà senza nuove generazioni in grado di tenere in piedi e di fare più bella e accogliente con la loro vita, la loro intelligenza e il loro lavoro la nostra casa comune: non la previdenza, non la sanità, non la scuola. Forse solo le fabbriche affidate a robot... Il neo ministro Fontana ha le intenzioni giuste, ma non ha il 'portafoglio' per dar loro concretezza. E anche ieri, infatti, ha invocato il concorso dei Ministeri che il 'portafoglio' ce l’hanno. Non lo si faccia parlare invano. Perché l’anno scorso i bimbi e le bimbe nate in Italia sono stati appena 458mila. E senza i nuovi italiani, cioè quelli nati da famiglie di origine straniera, sarebbero appena 390mila. Senza il 'sì' alla vita, tutta, non c’è futuro.

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