mercoledì 30 giugno 2021
Un lettore contesta il calcolo della spesa mensile essenziale per le famiglie che definisce la povertà assoluta. Le diverse scale di equivalenza e la difficile definizione di quanti sono in miseria
«Soglie alte, troppi risultano poveri» Ma la stima Istat è realistica

Ansa

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Gentile direttore,

da sempre sono colpito dall’indice di povertà assoluta e dai grandi titoli che i giornali ne ricavano, come quello su 'Avvenire' del 17 giugno. Ho provato a calcolare sul sito dell’Istat la soglia di povertà assoluta per una famiglia che conosco, con due genitori, tre figli, un mutuo da pagare di 370 euro al mese, spese scolastiche, ecc. Il loro limite di spesa mensile per non essere in povertà assoluta è pari a 1.923 euro. Ne ho parlato con questa famiglia e il loro commento è stato: «Ci sentiremmo quasi ricchi, se potessimo spendere una somma del genere ogni mese!». Hanno un Isee ordinario pari a 10.725 euro per il quale sono esclusi da molti contributi e aiuti. Ma allora, che senso ha parlare di povertà assoluta quando il limite di spesa è così alto? Da altre fonti giornalistiche leggo che la soglia di povertà nei Paesi a reddito medio- alto è di 5,50 euro al giorno, che per la stessa famiglia di 5 componenti, fa un totale mensile di 825 euro. La differenza è abissale. Non capisco allora quale sia l’obiettivo che si cerca di raggiungere facendo leva su un limite di spesa per la povertà così elevato, tanto da far risultare milioni di poveri assoluti in Italia. Grazie per l’attenzione e per un possibile aiuto a capire.

Massimo Vignati


Gentile signor Vignati,

su richiesta del direttore provo a chiarire i suoi dubbi. Anzitutto facendo riferimento alla metodologia applicata dal nostro Istituto nazionale di statistica per stimare la povertà assoluta in Italia. Essa si basa «sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale». In particolare, «un’alimentazione adeguata, la disponibilità di un’abitazione – di ampiezza consona alla dimensione del nucleo familiare, riscaldata, dotata dei principali servizi, beni durevoli e accessori – e nel minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute». La valutazione monetaria di questi beni non è effettuata al prezzo minimo assoluto, ma al prezzo minimo accessibile per tutte le famiglie, tenendo conto delle caratteristiche dell’offerta nelle diverse realtà territoriali (Nord, Centro, Sud e Area metropolitana, grande o piccolo Comune). Infine, viene applicata al nucleo familiare una scala di equivalenza, a seconda del numero e dell’età dei diversi membri, che risulta leggermente più 'generosa' al crescere del numero dei componenti, rispetto ad esempio a quella applicata per il Reddito di cittadinanza. Tanto è vero che, a fronte di una povertà assoluta stimata dall’Istat per 5,6 milioni di persone – 1 milione in più in quest’anno di pandemia e crisi – il Reddito di cittadinanza 'copre' attualmente solo 2,8 milioni di italiani, la metà circa dei bisognosi secondo l’Istat. Da una parte per le maggiori restrizioni riguardanti i residenti extracomunitari e, dall’altra, proprio per l’esclusione dai benefici di alcune tipologie di famiglie numerose, che superano di poco i limiti reddituali e di patrimonio fissati per il beneficio anti-povertà. Per fare l’esempio della famiglia di 5 componenti a cui lei si riferisce, l’Istat la considera in povertà assoluta con una capacità di spesa mensile inferiore a 1.923 euro, mentre per ottenere il Reddito di cittadinanza destinato ai più poveri le loro entrate mensili complessive dovrebbero essere inferiori a 1.000 euro, poco più della metà.

Chi ha ragione, dunque? Di sicuro mi sento di dare torto a chi ritiene che a una famiglia con due genitori e tre bambini possano bastare 900 euro al mese in totale per essere considerati 'non-poveri'. È possibile che l’Istat sottovaluti da un lato le economie di scala (e i sacrifici) che una famiglia è in grado di compiere e, dall’altro, sopravvaluti le esigenze di spesa dei nuclei, assumendo ad esempio che tutti i figli procedano con gli studi o abbiano necessità di alcuni beni di consumo. Tuttavia, osservando i costi degli affitti nelle città del Nord, quelli delle utenze domestiche e dei libri scolastici, solo per fare qualche esempio, non mi sembra che la capacità di spesa necessaria, ipotizzata dall’Istat, sia così lontana dalla realtà. Non per nulla si stanno opportunamente investendo maggiori risorse per le famiglie con figli, grazie al varo dell’assegno unico, mentre lei stesso rileva come risultino ancora troppo basse le soglie Isee per l’accesso ad alcuni benefici e ai servizi a tariffa scontata. Più che sovrastimata, insomma, la povertà nel nostro Paese mi sembra una drammatica realtà alla quale va prestata la massima attenzione.

Caporedattore centrale Avvenire

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