venerdì 26 agosto 2011
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Gioia e dolore si mescolano, ogni giorno, nella vita degli uomini e delle donne e la segnano con le lo­ro lame affilate. Negli ultimi due giorni, dolore e gioia ci hanno investito con vertiginosa intensità, segnan­do nel profondo ognuno di noi e l’intera redazione di Avvenire. Ci hanno severamente chiesto conto della nostra speranza. E lo hanno fatto qui, ora, con la fran­chezza imprevista e brutale della cronaca, che è nostro mestiere ed è sempre (e mai dobbiamo dimenticarlo) vicenda e sentimenti e attese d’altri. Gioia e dolore, per noi di Avvenire, sulla verticale che congiunge Milano e Roma a Tripoli, si sono racchiusi soprattutto in due nomi: Claudio Monici e Domenico Montalto.Claudio Monici, il nostro collega malmenato e pre­so in ostaggio in Libia, ci è stato restituito ieri assie­me a Domenico Quirico (La Stampa) e a Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina (Corriere della Sera). Rilasciati e illesi tutti e quattro, grazie a Dio, all’otti­mo lavoro di generosi e abili servitori dello Stato ita­liano e alle calcolate consapevolezze (o forse po­tremmo azzardarci a dire 'coscienze') dei loro car­cerieri. Felicemente liberi loro e liberati dall’ansia noi, anche se resta bruciante la ferita inferta dalla fe­roce uccisione di al-Maadi: padre di famiglia libico, guida e autista. Questa è la guerra: tormento e stra­zio, sangue versato, interrogativi lancinanti, perdita. Non consente mai, la guerra, di liberare sorrisi pie­ni; e solo quando ha vera fine offre sollievo vero. Chi la racconta – come fa Claudio, da anni e con immu­tata passione umana e cristiana – ce lo ricorda ogni volta che scrive. Chi l’ha sperimentata, o accetta di farsela raccontare su una pagina di giornale, sappia che bisogna ripetercelo ancora e ancora, fino a che non ne saremo tutti persuasi.Domenico Montalto, il nostro collega esperto d’arte e consegnato per matura vocazione a vigilare sul­l’ultima edizione di Avvenire, è stato tolto ieri a noi e ai suoi cari. Poche ore prima che Claudio ci fosse restituito libero, in fondo a un’altra notte di lavoro, più tesa e intensa di altre. Domenico ha seguito la bel­lezza e la verità, ha riconosciuto i segni della gioia e quelli del dolore, per tutta la vita, con lucidità di in­tellettuale e onestà di cronista. Ne avevamo parlato appena due sere fa, ancora una volta. Che lo voglia­mo o no, siamo tutti un segno di gioia e di dolore nel­le vite di chi ci ama e di chi ci incrocia. Ma noi gior­nalisti possiamo essere occhi e parola e cicatrice in prestito per chi non conosciamo neppure. Possiamo esser segno anche in pagina, in tutte quelle vite che in straordinario e faticoso e, a volte, rischioso modo incontriamo incontrando e raccontando il 'mon­do'. E sappiamo – Claudio lo sa, Domenico continua a dircelo – che questo segno, quando è vero, può co­starci anche di noi.
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