Se fu assolto e pianse persino lo sterminatore di Auschwitz
martedì 26 gennaio 2021

Ho trovato di recente (il ritardo è colpa mia), e ho commentato anche altrove, una notizia che mi ha turbato, perché non la credevo possibile: il comandante di Auschwitz, prima di essere impiccato, chiese di potersi confessare, gli fu concesso ed ebbe l’assoluzione.

Ma detto così è detto male, con poca precisione, e qui occorre essere precisi. Il lager di Auschwitz fu liberato dall’Armata Rossa il 27 gennaio 1945, siamo appunto nell’anniversario della liberazione: noi italiani la ricordiamo come la racconta Primo Levi, che in quel periodo non era nel suo lager, La Buna, un piccolo lager satellite, ma era ricoverato per malattia nel campo-madre, Auschwitz 1, e questo ricovero fu causa della sua salvezza.

Se fosse rimasto nel suo campo, tra i sani, sarebbe stato costretto alla marcia di trasferimento a piedi verso un altro lager, per sfuggire all’Armata Rossa che arrivava, e in quella marcia sarebbe morto, come gran parte dei suoi compagni. Ma era malato, fu ricoverato e dimenticato. Nella baracca, dove giaceva, i suoi compagni di malattia morivano a gruppi, i cadaveri venivano portati fuori e abbandonati nel cortile.

Levi stava portando via un compagno morto quella mattina, e sul portone del lager vide arrivare quattro soldati a cavallo, con il mitra a tracolla. Non erano della Wehrmacht, erano russi. In quel punto (ci sono stato) la strada è un po’ più alta del campo, e da lì si può vedere dentro le prime baracche. Guardando dentro, i soldati videro i prigionieri scheletriti, i moribondi immobili, e chinarono la testa, in segno di vergogna.

Penso spesso a quella vergogna, al suo significato. La risposta che mi do è questa: Auschwitz fa vergognare l’umanità intera, c’è Auschwiz e tutta l’umanità deve vergognarsi. Auschwitz è indicibile. Solo i testimoni hanno diritto di parlarne. Scrittori, registi, poeti no. Io no. Se ne parlo, uso sempre le parole di Primo Levi, non le mie. Lo scopo delle SS («Faremo cose tali, che non potrete raccontarle, perché nessuno vi crederà »), è raggiunto. Fra le tante imprese di barbarie compiute dall’umanità, Auschwitz è il vertice.

Il comandante di Auschwitz è uno dei più grandi criminali che la storia conosca. A fine guerra scappò, ma fu rintracciato, catturato, processato, condannato a morte e impiccato. «E ciò fu giusto», scrive Levi da qualche parte. Il mite, dolce, perdonante Levi, verso il comandante di Auschwitz era per la condanna a morte. Il comandante era un bavarese, si chiamava Rudolf Hoess, scritto anche Höß o Höss o Hoeß, un nazista della prima ora, tenace organizzatore dei campi di sterminio, molto apprezzato nella gerarchia. Era nato cattolico, e durante gli anni del potere si dimenticò totalmente del suo cattolicesimo, ma prima di essere impiccato si riconvertì e infine chiese di potersi confessare.

Gli fu concesso dai custodi polacchi, mentre gli inglesi erano contrari. Per giorni si cercò inutilmente un prete cattolico disposto ad ascoltare la sua confessione, finché lo stesso Hoess suggerì di cercare un gesuita a cui lui aveva inspiegabilmente fatto grazia della vita, dopo aver sterminato tutta la sua comunità così come aveva mandato a morire il santo francescano Massimiliano Kolbe. Il gesuita accettò di ascoltare la confessione del comandante di Auschwitz (inventore del gas Zyklon B, a lui veniva attribuita la responsabilità di 2 milioni e mezzo di vittime), venne e lo ascoltò: esiste una lettera del gesuita a una suora, il gesuita racconta che «la confessione durò e durò e durò», interminabilmente, finché lui pronunciò la formula dell’assoluzione chiamandolo anche con il suo terribile appellativo: «l’animale».

A quel punto, il comandante scoppiò a piangere, e continuò a piangere anche il giorno dopo mentre lo impiccavano. Ho visto la forca, è ancora lì. Darei chissà che cosa per sentire quella confessione. Perché se fu possibile assolvere il comandante di Auschwitz, allora non c’è nessun colpevole sulla Terra che non possa pentirsi e non possa essere assolto.

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