La Shoah, due film, la memoria necessaria
venerdì 27 gennaio 2017

E così, alla fine, il cinema arriva dove doveva arrivare: a mostrarci nello stesso giorno, questo, la massima colpa dell’uomo e la massima indifferenza degli uomini. La notte scorsa Sky ha mandato in onda Il figlio di Saul, che non è un film sullo Sterminio, come gli altri: gli altri si fermano sulla porta dello Sterminio, questo fa un passo avanti e varca la porta. Ci fa vedere ciò che non avevamo mai visto, che non potevamo, non osavamo immaginare. È un bene che questo film sia stato fatto. È un bene che l’umanità possa vederlo. Anche se tu vedi l’orribile, e la tua vista s’infetta. Non vedrà più le cose belle che vedeva prima. Davanti alla bellezza del mondo e della vita si pianta quella tenda nera, il mondo si rabbuia. Oggi è l’anniversario del giorno in cui il mondo è apparso, a tutti e per sempre, buio: oggi è l’anniversario della liberazione di Auschwitz. Quel giorno l’umanità ha visto e ha saputo, e s’è vergognata di se stessa.

La piccola pattuglia di soldati sovietici a cavallo, che arriva al cancello d’ingresso di Auschwitz 1 e guarda il campo nazista (lì la strada è più alta del campo, e si vede tutto), ammutolisce: vede l’orribile e non dice una parola. Capisce che ciò che vede non si può raccontare, non si può giudicare, non si può punire. È 'troppo', è 'al di là del Bene e del Male'. Da quel giorno son passati 72 anni, e non ci hanno mai mostrato il cuore di quel Male, l’uomo che diventa diavolo di fronte all’uomo. Sapevamo delle selezioni, ma dopo?

Sapevamo delle docce, ma dopo? Sapevamo delle camere a gas, ma dopo? Sapevamo dei forni, ma dopo? I sopravvissuti non ci dicevano queste cose. Primo Levi non le dice, perché non le sa. Lanzmann va a recuperarle da alcuni testimoni, ma questi si torcono, piangono, gemono, svengono. Non 'parlano'. Quel che sanno non è dicibile. È allora torniamo a Primo Levi: è il narratore dello Sterminio non al grado massimo in cui fu compiuto e patito, ma al grado massimo in cui poteva essere detto. Il figlio di Saul fa un passo oltre quel grado massimo e dice l’indicibile. È necessario all’umanità, ma la angoscia. Potrà convivere con questa angoscia? Da oggi gira nei nostri cinema un film che risponde 'Sì'. S’intitola Austerlitz, ed è ambientato nel lager di Sachsenhausen. Sachsenhausen era uno dei più antichi lager, attivo già nel 1936. Sta a 35 chilometri a nord di Berlino. Un piccolo campo.

Ma nei campi più piccoli e defilati, i comandanti facevano le cose più atroci. Questo campo ha un museo, che illustra ai visitatori la vita e la morte dei prigionieri. Se uno va lì non sapendo niente, lì impara tutto. Il film (un documentario) è incentrato sui visitatori, come imparano, come reagiscono, come ridono, come fanno gruppo, si fanno le foto-ricordo con la scritta Arbeit macht frei sullo sfondo. Bevono bottigliette di minerale. Vedono il cuore del Male e, magari, si divertono. Ho visto Mauthausen, mentre io entravo un gruppo di visitatori italiani usciva, ci siamo incrociati sul cancello. Cantavano. Ragazzi e ragazze. Giovani. La gioventù è incosciente, spero che adesso siano diversi. Glielo auguro. Ho visto Auschwitz 1 e 2, quest’ultimo noto come Birkenau, il vero inferno, con le docce e i forni. Arrivato in fondo al binario, mi son guardato in giro: una distesa di baracche tetre e uniformi, dominate dalla torre d’entrata.

Chi ha pensato quest’Inferno, ha l’Inferno dentro di sé. Il Lager è l’Inferno che il costruttore ha esportato da sé e scaricato sul mondo. In Auschwitz 1 sono salito sul cocuzzolo da cui il comandante guardava l’appello. C’era una forca multipla da 6 posti sullo sfondo, e una forca singola, mobile, da portare in fretta sul luogo dell’esecuzione. Si respirava terrore e obbedienza. Mi accompagnava il direttore del Museo. Finita la visita, mi ha portato a casa sua, mi ha offerto un goccio di vino rosso, un centimetro, un fondo di bottiglia. Abbiamo bevuto centellinandolo, un millimetro alla volta. Senza dire una parola. Auschwitz è un luogo dove non c’è niente da dire.

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