Riscaldiamo il cuore freddo
giovedì 19 maggio 2022

La guerra in Ucraina rende urgente l’emancipazione dal gas russo (19% circa del nostro fabbisogno) e spinge oggi Italia e Unione Europea ad accelerare quel processo di transizione ecologica che pensavamo di realizzare in tempi più lunghi con la strategia emissioni zero entro il 2050 e il gradino intermedio 'FitFor55' della riduzione del 55% entro il 2030. Non a caso Ursula von der Leyen ha annunciato con l’adeguamento del piano RePowerEU di voler rendere obbligatoria l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici pubblici entro il 2025 e dal 2029 sulle abitazioni residenziali per portare l’obiettivo di quota di energia prodotta dalle rinnovabili dal 40 al 45% nel 2030.

Pensare di tornare al carbone o creare dipendenze di lungo periodo da altre fonti fossili è un farmaco sbagliato con gravi effetti collaterali visto che è ormai indubitabile che esistono almeno cinque ragioni (salute per la qualità dell’aria, clima, convenienza di prezzo, volatilità del prezzo, indipendenza energetica) per le quali le fonti rinnovabili sono, in ciascuno di questi ambiti, la soluzione migliore (e il carbone la peggiore dal punto di vista di clima e salute).

A tutto questo aggiungiamo, elemento non trascurabile, che le fonti rinnovabili sono anche il modo più veloce per realizzare il cambiamento. Ci sono alcuni canali attraverso i quali il nostro Paese – andando al di là di un tasso di crescita delle installazioni che quest’anno lo mette dietro le prime dieci nazioni Ue (come ricordato ieri da questo giornale) – può e deve passare rapidamente dal 16% di energia prodotta da sole e vento oggi, almeno al target del 66%, il livello della Norvegia che, come è noto, non è certo il Paese che ha dato l’ispirazione a un pilastro della canzone mondiale come «’O sole mio».

Per entrare nel merito, parliamo di canali quali: la liberalizzazione per l’installazione di impianti individuali (niente permessi se non in aree di pregio culturale, ma solo la comunicazione di inizio lavori), la realizzazione rapida di produzione da rinnovabili da tutti gli edifici pubblici, il credito d’imposta alle aziende (la cui estensione in termini di plafond e regioni beneficiarie le reti imprenditoriali come Cna chiedono a gran voce) per realizzare impianti per l’indipendenza energetica e la nascita delle comunità energetiche da rinnovabili.

Ma cosa può aiutare a realizzare rapidamente una trasformazione così profonda che fa bene alla salute, al clima, alle nostre tasche e alla pace? La scelta del Festival dell’Economia Civile di Firenze e della Settimana Sociale dei cattolici di Taranto di puntare sulle 'buone pratiche' è un’opzione strategica meditata e convinta e non uno slancio da anime belle. Come ha ricordato qualche giorno fa Vittorio Pelligra, e come dimostrano le evidenze sperimentali in economia comportamentale, la tribù più numerosa nelle popolazioni umane è fatta di 'cooperatori condizionali'.

Ovvero tendiamo ad assumere comportamenti civici se sappiamo che anche altri lo fanno. Il civismo è contagioso, ma a patto che sia comunicato e raccontato. Altrimenti restiamo in balìa di una comunicazione da professionismo della catastrofe che non fa che creare disperazione, passività e sfiducia nascondendo una parte della realtà e bloccando il cambiamento. Uno dei campioni messo in evidenza a Firenze e a Taranto si chiama Acea Pinerolese ed è una società di servizi di energia che ha lanciato per prima in Italia il modello delle comunità energetiche condominiali. Venti nate in pochissimo tempo e già operanti, fino a 100 già programmate e da realizzare. Sarebbero molte di più, ma i limiti fisiologici su materiali e personale (stiamo parlando anche di un settore a forte crescita occupazionale) sono un limite di breve periodo a un’espansione più rapida.

Le comunità energetiche, oltre a far bene alle tasche dei condòmini che non devono più acquistare in rete fino al 90% dell’energia consumata, producono altri importanti effetti positivi. Sono processi partecipativi di cittadinanza attiva, cuore caldo della democrazia e della pace perché la realtà incarnata di una comunità è la condivisione delle risorse. Offrono straordinarie opportunità di educazione alla sobrietà e di lotta allo spreco energetico (appello recente anche del governo, che ci chiede di fare attenzione alle temperature di riscaldamento e condizionatori) attraverso i software che le accompagnano e mettono in contatto e in gara i membri delle comunità sulle scelte energetiche.

Le direttive Ue (2018/2001 RED II e 94/2019) stabiliscono che le comunità energetiche dovranno essere un attore importante nella transizione ecologica e alcune esperienze pilota (come quella di Ecopower in Belgio, cooperativa con 75mila membri che produce il 2% dell’energia del Paese) indicano gli enormi spazi di progresso che abbiamo davanti. In termini di equilibrio economico-energetico generale le comunità energetiche rinnovabili, con loro capacità di produrre e autoconsumare energia aiuteranno la rete elettrica a gestire il forte sovraccarico atteso di accessi che deriverà dalla crescita della quota di auto elettriche e plug-in. Sono molti i commentatori autorevoli che denunciano il 'cuore freddo' della democrazia e lamentano in questo periodo la disaffezione per la stessa anche da parte di cittadini dei Paesi europei che, invece, dovrebbero capire proprio in questo momento quanto essa è importante per evitare rischi e drammi come quello che vive in questo momento la società russa e subisce di riflesso in proporzioni molto maggiori quella ucraina.

A queste considerazioni profonde dovrebbe accompagnarsi sempre di più un impegno per alimentare i processi di partecipazione e cittadinanza attiva che ne sono invece il cuore caldo e fanno sentire i cittadini membri della polis a tutti gli effetti e partecipi delle sue sorti. Le comunità energetiche, assieme ai meccanismi di voto col portafoglio, ai processi di co-programmazione e co-progettazione e di gestione dei beni comuni sono le vie più importanti da abitare e alimentare per realizzare questo grande obiettivo di bene comune.

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