martedì 21 gennaio 2014
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Era ora. Era ora che il dibattito divampasse e che il rumore delle parole facesse finalmente pensare a un cantiere che si sta mettendo in moto. Se l’Italia avrà quella piccola-grande «stagione ri-costituente» che anche noi abbiamo molte volte invocato, sarà per merito dell’iniziativa decisa e persino brusca assunta da Matteo Renzi. Del coraggio con cui ha sciolto per prima cosa il nodo che per anni, dopo l’ormai lontano fallimento della Bicamerale D’Alema, nessuno aveva più osato affrontare seriamente: il confronto diretto con Silvio Berlusconi. Cioè con il "duellante" per eccellenza della cosiddetta Seconda Repubblica, negli ultimi vent’anni – grazie alle caratteristiche e agli errori del capoazienda che si è fatto capopartito – per la sinistra italiana l’avversario più duro eppure più facile: il "nemico" di cui pubblicamente vantarsi e l’interlocutore di cui altrettanto pubblicamente vergognarsi.Già, ma le riforme si possono fare soltanto insieme. Più insieme che si può. Ed è chiaro come il sole che Beppe Grillo è fuori dall’insieme, visto che intende purtroppo tenere inchiodati i parlamentari del M5S in una trincea polemica, rifiutando ogni condiviso percorso riformatore (e poco importa se così la "nuova" politica finisce per continuare il peggiore dei tic della "vecchia"...). Per questo, senza una convinta e vasta intesa di metodo e di fondamentali contenuti, che comprenda almeno Forza Italia oltre al Pd e ai suoi attuali alleati di governo non si poteva neanche pensare di cominciare.Le riforme si fanno insieme. Più insieme che si può. Perché da soli di riforme se ne parla soltanto, invano. E se qualche frutto alla fine avventurosamente arriva, è un frutto guasto. Stanno lì a ricordarcelo la riformina confusa, confusionaria e perciò dannosa dei poteri della Regioni che ci affligge dal 2001 (marchiata centrosinistra) e la riformona basata sul mito della "devolution" che venne sonoramente bocciata nel referendum confermativo del 2006 (firmata centrodestra). Ma anche la legge elettorale che, dal 2005, tutti hanno imparato a conoscere come Porcellum: un furto di potere ai danni degli elettori (privati persino più che all’epoca del Mattarellum della possibilità di scegliere davvero gli eletti) organizzato nel centrodestra, proseguito grazie a complicità entusiaste nel centrosinistra e reso sinora permanente dai calcoli faziosi e barricaderi degli uni, degli altri e degli altri ancora.Ora, ci si può rimboccare le maniche. Sul piano politico la svolta è avvenuta. Berlusconi e Renzi da avversari dichiarati si sono, come si dice, reciprocamente legittimati nel senso che si sono parlati e sintonizzati sulle linee portanti di un progetto che, se andrà in porto, sarà frutto di una "larga intesa" per garantire esecutivi dotati di una maggioranza chiara e autosufficiente e, dunque, per escludere in futuro quelle "larghe intese" di governo che, come abbiamo visto e sperimentato, non sono la vocazione più pronunciata della classe politica italiana. Angelino Alfano ha poco dopo messo i puntini sulle "i" e smontato l’idea stessa di una partita solo a due tra Pd e Fi. Enrico Letta, intanto, dopo aver fatto sapere per primo che la direzione presa grazie all’iniziativa di Renzi è quella «giusta», si sta preparando a entrare nella fase due di un’azione di governo che dovrà accompagnare sino alla primavera del 2015 la sperata, necessarissima "ripresa" nell’economia e nella società italiana e il lavoro riformatore del Parlamento. Si prepara a fare la sua parte, il premier. E non con un rimpastino ministeriale vecchio stile, ma con un «bis» che si annuncia fulmineo e che dovrà essere adeguato all’evoluzione in atto. Vedremo.Ma soprattutto vedremo se si sarà capaci di mandare un segnale importantissimo all’opinione pubblica – la «prova del nove», l’abbiamo definita nel commento di Francesco Riccardi di domenica scorsa. È infatti semplicemente insopportabile l’idea che il prezzo della riforma del Bicameralismo perfetto e del federalismo imperfetto (con molti meno parlamentari, con il Senato trasformato in Camera delle autonomie e con le competenze delle autonomie locali rimesse in nitido e corretto rapporto con quelle dello Stato centrale) possa essere il mantenimento delle «liste bloccate», triste eredità del Porcellum e della quota proporzionale del Mattarellum. I parlamentari devono essere scelti dagli elettori.Già, sono i cittadini che devono tornare pienamente a scegliere. E interessa relativamente come. Con lo strumento della preferenza unica (la logica di negarla, con atto di sfiducia cosmico soprattutto per la gente del Sud, perché ci sono i mafiosi è come quella di chi proponesse di vietare i fiammiferi perché esistono i piromani). Oppure con l’arma delle primarie di collegio per la selezione preventiva "dal basso" dei candidati. Purché lo si faccia e purché, nel caso delle primarie, si tratti di una regola e non di una mera opzione affidata alla gentile concessione di questo o quel capopartito.Tutto il resto è un dettaglio, anche se mai irrilevante. Ma se non ci sarà questa restituzione-riconciliazione con gli elettori, non si provi neanche a chiamare la legge "Italicum". Gli italiani c’entrerebbero poco e nulla, e lo dimostrerebbero ai seggi. È però difficile credere che davvero si arrivi a tanto: non si fa la "fatica" che ha fatto Renzi – e che tutti gli altri, a loro modo, da Berlusconi a Vendola, da Cuperlo a Mauro, da Monti a Salvini, da Alfano allo stesso Grillo – sono sfidati a continuare, per vanificarla con un atto di arroganza partitocratica. L’occasione è troppo seria, utile e bella per la nostra democrazia. Non va sprecata.
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