Riformare non abrogare
mercoledì 14 luglio 2021

Mentre una commissione nominata dal ministro del Lavoro Orlando sta lavorando su linee di riforma del Reddito di cittadinanza, viene lanciata in questi giorni l’idea di un referendum abrogativo. L’abrogazione tout court di un’iniziativa inizialmente concepita sia per lottare contro la povertà che per favorire il reinserimento nel mondo del lavoro è la via migliore?

Tra i vari limiti del Rdc la questione più spinosa e più frequentemente sollevata è la sua inefficacia nel favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Al contrario, il Rdc sembra aumentare il 'salario di riserva' (il salario minimo al quale si è disposti ad accettare un lavoro) creando situazioni di scarsità di manodopera in alcuni settori dell’economia (ad esempio quello turistico-alberghiero). Non infrequenti sono infatti gli episodi, citati da imprenditori e ripresi dai media, di percettori del Rdc che rifiutano un lavoro per un salario equivalente o di poco superiore o chiedono di essere pagati in nero per poter continuare a percepirlo. È questo probabilmente uno dei motivi che alimenta l’opinione contraria e spinge verso la richiesta di referendum.

Per riflettere su cosa sia meglio fare bisogna innanzitutto abbandonare l’estemporaneità emotiva di alcuni superficiali approcci mediatici. Sarebbe facile, infatti, raccogliere cinque casi positivi di persone inoccupabili e salvate dalla miseria dal Reddito di cittadinanza generando consenso ed emozioni positive come, al contrario, fare un reportage su cinque storie di abuso e creare sdegno e sentimenti contrari. Ma non è questo il modo per decidere, perché una scelta informata deve partire innanzitutto da dati e statistiche che pesano vantaggi e svantaggi di un provvedimento.

È peraltro vero che l’introduzione del Rdc non è stata affatto efficace sul fronte dell’occupabilità. Uno degli errori principali da questo punto di vista è l’approccio dirigista 100% pubblico secondo il quale i centri per l’impiego e i neoassunti navigator sarebbero stati immediatamente capaci di aiutare i percettori a trovare un lavoro. Al contrario, l’esperienza tedesca insegna che, in questo come in molti altri settori dell’economia, l’ideale è una partnership pubblico-privato dove il pubblico definisce criteri socialmente validi e premialità di agenzie per il lavoro private che hanno poi l’incentivo di realizzare in modo efficace l’opera.

Chiariamo inoltre il fatto che solo circa un terzo dei percettori della misura (3,6 milioni di persone in 1,3 milioni di nuclei familiari) è occupabile. E questo dovrebbe sgombrare il campo dall’equivoco: il ragionamento appena svolto sul Rdc come 'ostacolo all’occupabilità' per quei due terzi, costituiti da anziani, bambini e disabili, non funziona. Conviene pertanto concentrarsi su come evitare che il Rdc disincentivi l’ingresso sul mercato del lavoro del terzo di percettori occupabili. Le vie d’uscita sono essenzialmente tre. La prima è maggiore condizionalità e severità di fronte a posti di lavoro rifiutati.

L’applicazione di questo punto non è facile come sembra, perché richiede la volontà di un datore di lavoro di comunicare che il candidato che lui avrebbe voluto non ha accettato l’incarico. Tra gli ostacoli c’è anche il rischio che il percettore di Rdc faccia di tutto per non rendersi occupabile agli occhi del potenziale datore di lavoro. La seconda è insistere maggiormente sui Puc (i Progetti utili alla collettività) già previsti dal governo che vincolano il percettore a svolgere per un tot numero di ore a settimana lavori 'socialmente utili' in progetti suggeriti dalle amministrazioni locali o co-progettati con le organizzazioni di Terzo settore. Anche questa parte della misura non sempre riesce a essere realizzata in modo efficace.

Bisogna insistere, perché – oltre a essere una via attraverso la quale il percettore può rendersi socialmente utile – essa rappresenta un disincentivo all’abuso di chi pensasse di prendere il Reddito di cittadinanza e lavorare in nero. La terza via è quella della premialità al momento in cui si accetta un lavoro. I percettori della misura di povertà che accettano un lavoro dovrebbero portarsi dietro la dote di alcune mensilità della stessa in modo tale che rifiutare il lavoro diventi economicamente poco conveniente. È evidente che questa terza via funziona se la dote va ai percettori di Rdc e non a chi li assume.

Un recente lavoro sull’effetto dell’introduzione della premialità in Corea del Sud dimostra che l’effetto è stato quello di ridurre del 25% circa la durata dei periodi di disoccupazione dei percettori. È stato detto più volte che la qualità di un Paese si misura sulla sua capacità di venire incontro (efficacemente, aggiungiamo noi, e agendo severamente contro gli abusi) ai problemi degli 'ultimi'. Attorno alla riforma (non all’abrogazione) del Reddito di cittadinanza si gioca una partita decisiva della nostra civiltà

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