Non può essere un'avventura
domenica 17 maggio 2020

Ed eccoci al secondo tempo della Fase 2. Quello della riapertura più pronunciata ed estesa della vita economica e sociale e religiosa. Riguarda tutti, ma non per tutti è uguale. Mezz’Italia ci arriva col cuore in gola e l’altra metà con il sangue al cervello. Ma poi c’è anche la metà che già corre al lavoro e un altro mezzo Paese – quello che più preoccupa – che tira la cinghia ed è quasi senza fiato. E ancora la metà solidale e la metà (in realtà più scarsa di quanto si creda) menefreghista; e la metà che impreca e la metà che sa pregare Dio o ha ricominciato a farlo... Vi sembrano troppe "metà" per un’Italia sola? Guardate meglio: ci stanno tutte.

Perché si sovrappongono l’una all’altra. Chi ha paura e pure le tasche piene. Chi è arrabbiato, ma soltanto per sé e chi, invece, ha poco e si dà da fare per quelli che hanno meno di lui. Chi si rivolge a Dio e si rimbocca le maniche e chi osa pregare per maledire. Chi è stanco, ma non di donare, e chi dice di non credere più a niente e a nessuno eppure dà lavoro buono agli altri... E poi ci sono le ingombranti frazioni (e frazioni delle frazioni) delle "metà" su cui viene da stendere un velo pietoso, che però non può coprire i corrotti e i malfattori che pensano a far soldi sulle disgrazie comuni e si scatenano soprattutto quando in giro di persone da sfruttare, di beni da sbranare e di soldi da spendere ce ne sono tanti. Proprio, come ora.

L’Italia (e non solo l’Italia) è così. Ma c’è pure un’Italia che tutto questo si sforza di comporre in unità. È altrettanto vera, anzi di più. Ed è affaticata e bella, è radicata nella fede e nella buona volontà, è resiliente. L’abbiamo raccontata per lunghe settimane e la riassumiamo oggi nei 24 volti incisi alle pagine 16 e 17 (VAI ALL'EDIZIONE DIGITALE). Quest’Italia toccata e complicata, piena di grazia e sconvolta, consapevole ma non rassegnata all’invasione invisibile del coronavirus, da domani con crescenti libertà personali e collettive s’incammina verso una normalità che, ci siam detti, sarà diversa, perché «nulla sarà più come prima». Vedremo come, vedremo quanto. Quel che ci sta davanti sarà anche come noi lo faremo, teniamolo a mente. Non possiamo tutto e stavolta il limite ci è tornato chiaro, ma è grande la nostra responsabilità.

Il copione non è già scritto e non c’è un fato segnato. Nella storia del nostro Paese e del mondo non è la prima volta che una pandemia spinge con più forza dentro un «cambio di epoca», quello stesso che papa Francesco dall’inizio del suo pontificato ci aiuta a vedere e interpretare dalla parte giusta, che è la parte di Dio e dell’umanità, che è la parte del creato e del bene comune. La pandemia ha spezzato esistenze e sicurezze, ma anche presunzioni. E deve aiutarci a spazzar via esitazioni ed egoismi. C’è la vita da ricominciare, con slancio e giudizio. C’è storia da fare. Sarà dura, e non può essere ridotta a un’avventura. È molto di più. Soprattutto per chi sa dove guardare, dove andare e perché.

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