Questo nostro strano Paese
mercoledì 14 ottobre 2020

Strano Paese, quello in cui il deficit di civismo e l’emergenza educativa sono evidenti, allarmanti e di molto precedenti alla pandemia, eppure appena i contagi risalgono si pensa di richiudere le scuole. Strano Paese, l’Italia pallonara (nei due sensi possibili del termine) che piange perché non può andare allo stadio e però "le lezioni a distanza sono più sicure". Ancora più strano, quasi incomprensibile, se a chiedere la retromarcia sono i rappresentanti di alcune Regioni e di certi partiti che prima del 14 settembre reclamavano a gran voce la ripresa delle lezioni nelle aule. Il Veneto e la Lega, su tutti.Sempre sull’orlo del cortocircuito politico e informativo, in questo strano Paese si ammette in realtà, a ragione, che non sono le scuole i luoghi di maggiore diffusione del Covid, ma poi si aggiunge che le scuole superiori vanno comunque chiuse perché per raggiungerle molti studenti prendono i mezzi pubblici, dove l’affollamento comporta un serio rischio di contagio.

Insomma, per risolvere un problema (autobus e metropolitane affollati) se ne creerebbe un altro (chiusura delle scuole). È un metodo che ricorda da vicino quello di certi Comuni che, non volendo o potendo spendere per rinnovare l’asfalto delle strade piene di buche, abbassano il limite di velocità da 50 a 30 chilometri orari. Furbo, ma non corretto.

Di certo è più facile richiudere le scuole che garantire il giusto distanziamento fisico sui mezzi di trasporto pubblici. Ma non siamo sicuri che il secondo obiettivo, per quanto difficile, sia impossibile da centrare. Qualche idea c’è già: differenziare gli orari di entrata e uscita degli studenti dagli istituti scolastici; "arruolare" con apposite convenzioni bus di compagnie private; prevedere, nella settimana, due giorni di didattica a distanza e tre in presenza.

Forse qualcuno pensa che in fondo richiudere i ragazzi nelle loro camerette (per chi ce l’ha) a fare lezione davanti un computer (sempre per chi ce l’ha) sia un prezzo tutto sommato basso da pagare. Ci permettiamo di dire che quel qualcuno sbaglia, si tratta invero di un prezzo altissimo perché la scuola non è un mero travaso di saperi. Non ci si va soltanto per apprendere nozioni, mandare a memoria formule, ripetere capitoli di libri. Ci si va, ci si dovrebbe andare soprattutto, perché il confronto con gli insegnanti e con gli altri studenti fa crescere come persone e come cittadini. In classe si discute, si impara ad ascoltare e a dialogare, si scoprono talenti e vocazioni, limiti propri e altrui, ci si aiuta, si litiga e – perché no? – ci si innamora per la prima volta. Davanti a uno schermo è più facile distrarsi, sottrarsi ai compiti, isolarsi, sentirsi ai margini oppure invincibili.

È sulla base di considerazioni analoghe, si spera, che ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha sottolineato che «la scuola deve essere un asset privilegiato da tutelare» e che, piuttosto, «dobbiamo stare attenti a tutto quello che ruota attorno alla scuola». Che tuttavia dipende in larga misura dal comportamento di ciascuno. Perché se a scuola rispetti tutte le regole e appena esci fai "mucchio" con i compagni, magari senza mascherina, la responsabilità è solo tua e non può essere di nessun altro. Non c’è al mondo Dpcm o decreto legge che potrà impedirti di rischiare di infettarti o di infettare. Si chiama, appunto, responsabilità personale e dovrebbe valere anche in Paesi come il nostro, dove ancora troppi reclamano "dallo Stato" solo diritti e, allo stesso tempo, cercano di venire meno ai propri doveri (in questo caso anche al buon senso) in nome di una concezione distorta della libertà. Ma non esiste vera libertà se non è accompagnata dalla responsabilità e dalla collaborazione con le altre persone. Ce lo ha ricordato qualche giorno fa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È la prima lezione da imparare.

Eppure guai a «raccomandare fortemente» – come si legge proprio nel Dpcm emanato lunedì notte – «di evitare feste» nelle abitazioni private e di non invitare a casa più di 6 amici o familiari non conviventi. Nulla più di un richiamo alla prudenza che, nella situazione data, meritava di essere accolto come superfluo. Invece si è subito evocato lo Stato di polizia, il grande Fratello di Orwell, la delazione tra vicini in uso nella Ddr comunista. Strano Paese, davvero.

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