Questo è tempo di dar ragione
sabato 16 aprile 2022

E' Pasqua, ma non c’è tregua nel mondo: né in Ucraina né altrove. E molti oppongono all’appello di ripudio della guerra di papa Francesco la «realtà». Una «realtà» che, invece, esige la guerra quantomeno come contrattacco per una legittima difesa, come unica possibilità di fare resistenza, e comunque come mossa "logica" per conquistare una posizione più forte al tavolo delle trattative che prima o poi verranno davvero.

È quanto reclamano, da una parte e dall’altra, a est e a ovest, politici e opinionisti di primo piano la cui voce ci ammonisce più che mai in queste atroci settimane. Qualcuno ha sentenziato come "sconcertanti" le parole di papa Francesco, che sta teneramente accanto alle vittime della guerra d’aggressione voluta da Vladimir Putin eppure chiama «una pazzia» gli ingenti aumenti delle spese militari decisi in Occidente. Com’è possibile che il Papa non intenda le ragioni della guerra? Di difesa, si capisce. Di reazione all’aggressore e per proteggere sé stessi, i propri figli e il proprio territorio. Nonché la libertà. Ragioni che giustificherebbero una "contraerea" ai soprusi subiti.

Lo stupore è, in parte, comprensibile se si pensa a quanto annota lo stesso papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti: «Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare (…) in rigorose condizioni di legittimità morale» (FT 258); inoltre le Chiese hanno partecipato, anche in tempi recenti, a forme anche violente di protesta in Ucraina, ad esempio nella famosa "Rivoluzione Maidan" che esplose nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 2014 a Kiev. Sul palco a far sentire la propria voce oltre alla Chiesa Ortodossa autocefala del Patriarcato di Kiev c’era anche la Chiesa Greco-Cattolica. Come mai il Papa, adesso, non si pone a favore delle barricate, della violenza contro la violenza, delle armi contro le armi? Come mai dice:«Fermatevi!», e lo dice a tutti? Ed ecco dove cade lo stupore: sempre nella Fratelli tutti, il Papa va a concludere: «Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione (…) oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta. Mai più la guerra!» (258).

Questa è la dottrina ampiamente enunciata da Francesco e già chiaramente annunciata da papa Giovanni nella Pacem in Terris. Ma ciò che dovrebbe essere noto, ancor prima – e non solo ai giornalisti inclini al grido! – è la parola di Gesù: «A chi ti percuote su una guancia, tu offri anche l’altra» (Lc 6,27) che sbarra la strada a qualsiasi guerra giusta. Un messaggio confermato dall’esempio di Gesù che, dinanzi al tribunale di Pilato – quand’era in ballo la salvezza della sua stessa vita – non si difese affatto, ancorché fosse innocente e potesse ancora volgere il cuore della folla dalla sua parte. Quella stessa folla che lo abbandonò proprio perché Egli rinunciò alle armi, alla sommossa, alla rivolta e, non per nulla, scelse Barabba che era un facinoroso capopopolo, oggi diremmo un "populista mediatico".

Gesù fece una scelta precisa e netta: quella di essere un servo del popolo sì, ma dell’universale "popolo di Dio" come Servo del Signore che, per spegnere la violenza contrappose la potenza della sua mitezza.
Il ripudio della guerra non è solo nello spirito neotestamentario, ma interpella e scuote tutta la Bibbia cristiana ed ebraica. Quando Gerusalemme era assediata dai Babilonesi, il profeta Geremia fu aspramente fustigato dai "profeti di pace" che, per la pace appunto, chiedevano la guerra, come accade anche oggi. Fu addirittura condannato a morte e, poi, calato in una cisterna perché denunciava le responsabilità dei capi di Gerusalemme, in tale assedio. Il suo coraggio critico infastidiva a tal punto i messia di Giuda che essi giunsero a bruciare le parole che aveva dettato al suo segretario Baruc (cf Ger 36). Geremia consigliava al re di negoziare col nemico pur di evitare una carneficina in tutta la città. Ma non fu ascoltato e, addirittura, venne accusato di collaborazionismo con gli invasori. Finì che in Gerusalemme la spada, la fame e la peste distrussero la vita. E non solo la dignità ma pure l’ordine etico dell’umano scomparve: le madri affamate giunsero a cibarsi dei figlioletti! Ha ragione papa Francesco: nessuna guerra è giusta! Tutti siamo colpevoli o, almeno, corresponsabili.


Ma c’è un altro esempio di ripudio della guerra davvero forte nel canone biblico cattolico ed è prezioso per credenti e non credenti: è scritto nel libretto di Rut che è inserito, non per caso, tra i libri di Giosuè e Giudici, da una parte, e quelli di Samuele e Re, dall’altra. Esso va a costituire una voce fuori dal coro, che si pone in un atteggiamento dialettico nei confronti della logica e dello schema della guerra che appaiono, invece, ben sedimentati nei libri che raccontano la storia di Israele. Mentre questi ultimi vedono il Paese promesso come un territorio da fruire in modo esclusivo, da conquistare e da difendere continuamente con la guerra, sterminando, possibilmente, i popoli che la contendono con gli israeliti, il libretto intitolato a Rut introduce non solo un dubbio, ma un’alternativa, direi un’opposizione a questo criterio, un signum contradictionis: la terra potrà essere goduta e conservata solo se condivisa sia da Israele sia da Moab, sia dagli oriundi sia dagli immigrati, sia dagli amici sia dai nemici, dai vicini come dai lontani: «Il tuo popolo sarà il mio popolo – dice la moabita Rut alla betlemmita Noemi – il tuo Dio sarà il mio Dio» (Rut 1,16). Il nome di questo Dio comune sarà la Pace. E sarà la storia a dar ragione a Rut e a Geremia e alla «realtà» da loro aperta.

Nella logica della guerra nessun nome di Dio può resistere. La guerra non uccide solo gli umani ma anche l’unico, vero Dio. Lo attesta persino la "pagana" Atena nell’ultimo canto dell’Odissea quando, la mattina seguente alla strage dei Proci, si presentarono da Ulisse i parenti di questi ultimi, armati per procedere con l’ulteriore vendetta: «Smettete con la guerra funesta o Itacesi» disse la dea della Sapienza, mentre: «dalle mani di tutti le armi volarono e caddero a terra» (Odissea, Libro XXIV).
Noi sappiamo però che Cristo, vero uomo e vero Dio, è risorto. Per questo, proprio adesso proprio qui, dobbiamo dare ragione della nostra speranza e restare saldi sulla via impervia e necessaria della pace.

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