Questa diversa «normalità»
mercoledì 14 ottobre 2020

In un post dell’8 ottobre, diventato popolare in poche ore, la pagina Facebook "Corona Virus - Dati e Analisi scientifiche" ha divulgato quanto spiegato da Tomas Pueyo, il trentatreenne specializzato in psicologia comportamentale a Stanford che già a marzo divenne più virale del coronavirus. A quei tempi aveva saputo spiegare, con la chiarezza non posseduta dai virologi, il meccanismo di diffusione della pandemia, ricorrendo a grafici e numeri che ancora molti guardavano con sospetto. Dopo qualche mese, oggi siamo più abituati a grafici e numeri. La scienza del coronavirus continua a occupare i social e molti quotidiani, che cercano di fornire strumenti atti a comprendere i meccanismi epidemiologici perché si possa diventare tutti più consapevoli su quanto si possa e debba fare. Fatto è che molti lamentano che, a fronte di tanta scienza, stampa e media incrementino solo un diffuso social anxiety disorder (disturbo d’ansia sociale).

Con espressioni opposte. Il primo: i numeri di contagiati e morti sono notevolmente differenti, nell’ordine di migliaia i primi, nell’ordine di unità i secondi. Dunque, perché tanto allarme? Forse è in scena un’infodemia complottista? Il secondo: i numeri dei morti cresceranno, perché la curva di contagi è esponenziale e la percentuale di morti crescerà rapidamente. Dunque, perché non si va a norme più severe immediatamente? Perché tanta incoscienza? La diffusione di informazione, in altre parole, non ha comportato la costruzione di un "senso comune scientifico". Al contrario, il senso comune scientifico è diviso, dopo mesi di bombardamento di terabyte di corona-informazioni.

Proviamo a rispondere. Decifrare dati e grafici, dei quali non sempre si percepisce l’autorità (più o meno comprovata) della fonte, non è facile. Fatto sta che ora Pueyo, nel post di cui dicevo, ci spiega che in Italia abbiamo rotto il "valore soglia". Questo valore designa il rapporto tra numero di test e positivi. È un valore che indica quanto sia efficace il sistema di controllo della rete di contatto dei positivi, con conseguente attivazione del meccanismo di isolamento e di contenimento dei focolai. Fino a metà settembre questo valore si è mantenuto al di sotto del 3%, ed è il valore limite per una buona riduzione del danno. Ora siamo sopra al 4%: ovvero, il controllo della rete di contatti non è più efficace. Colpa della riapertura delle scuole? Probabilmente no. Servirebbe un’analisi precisa per rispondere, ma va ammesso che a scuola sta accadendo che scattano immediatamente le quarantene appena si sa di un positivo. Non a caso lo scorso 5 ottobre il quotidiano principale di Zurigo, il "Neue Zürcher Zeitung", titolava «Italia esemplare, Spagna nel caos». E lodava gli italiani improvvisamente (secondo il solito luogo comune) diventati disciplinati.

Fa differenza, in modo importante, il comportamento individuale: chi è responsabile e accorto evita assembramenti dannosi e dunque evita di innalzare significativamente il valore soglia. Nel senso comune scientifico deve trovare un posto esplicito la dimensione personale e il suo legame con la dimensione collettiva.

L’opposizione tra le due posizioni sopra descritte non è necessariamente implicata da un presunto senso comune scientifico. Certo, bisogna sempre presupporre che in alcuni individui esso possa completamente mancare. Ma in chi lo ha maturato, in chi ha seguito anche i dibattiti scientifici in senso più stretto, pur non avendo una formazione scientifica, è innegabile l’innalzamento della soglia critica maturato in questi mesi. Quali sono, allora, gli elementi che fanno diventare alcuni intolleranti agli allarmi, altri ansiosi al punto da vivere male anche le situazioni sociali concesse? Elenchiamo solo alcuni aspetti, relativamente indipendenti, ma ormai sotto gli occhi di tutti: la scienza non può dare risposte assolute e dunque la politica più ben intenzionata dovrà agire di cautela in cautela; la scienza analizza e descrive, facendo previsioni spesso buone ma in questo caso strettamente legate alla nostra responsabilità (per raggiungere una conoscenza «commisurata alle dimensioni causali del nostro agire», Hans Jonas); l’esistenza di un tasso di impredicibilità che ricade su tutti noi, anche sui più accorti («rimuovi ogni avversione da tutto ciò che non dipende da noi», Epicuro). Ognuno di noi è più sensibile a un aspetto o a un altro, e in base a questo si determina la reazione che, di primo acchito, provocano gli allarmi del momento.

Insomma, senza diventare negazionisti o bloccati dall’ansia, mantenersi lucidi ed equilibrati non è facile per nessuno, perché la precarietà e la contingenza fanno paura a tutti, da sempre. Si può tentare un passo in avanti. Assumere dati e grafici come gli strumenti migliori che abbiamo ora, perché su di essi si può discutere, possono essere smentiti, ci si può confrontare. Sapere che siamo tutti responsabili nel gestire il valore-soglia, per non rinunciare interiormente ad alcune prassi di vita "normale" (come la scuola, come i luoghi pubblici contingentati) ai primi allarmi. Sapere che in ultima analisi ci aspettano mesi di "diversa normalità". Ammettere che non dominiamo la totalità della pandemia, ma ognuno è indispensabile per viverla al meglio. Ecco che si apre un terreno fitto di domande, non solo etiche ma anche teologiche. Ma di queste parleremo poi. Per ora si punti sul (buon) senso comune scientifico.

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