giovedì 13 ottobre 2022
I nostri reportage dal Paese tornato sotto il controllo dei taleban spingono alla solidarietà. Una bella lettera dà l’occasione per indicare almeno tre organizzazioni efficacemente attive
Quei bimbi venduti per debiti e fame. In Afghanistan qualcosa si può
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Gentile direttore,
le scrivo a proposito di uno dei reportage dell’inviata Lucia Capuzzi dall’Afghanistan pubblicati su “Avvenire” in queste settimane. Quello del 18 settembre (« Per la mia bimba 600 dollari, ma non l’ho venduta») in cui si dà conto di una tremenda “necessità” – chiamiamola così! – in cui si trovano non poche persone in alcune zone di quel grande e tribolato Paese costrette a vendere i propri figli per onorare debiti contratti e per non far morire di fame gli altri figli... Come possiamo restare a guardare impotenti una tragedia così grande? Possibile che, nonostante intuibili difficoltà, non si possa fare qualcosa? Ci sono organizzazioni oneste che possono intervenire? Forse qualcuno ha già scritto ponendo la stessa domanda. Mi creda, il pensiero di quei genitori e di quei bambini mi addolora e non mi lascia in pace. Se è possibile fare qualcosa, “Avvenire” ci segnali gli enti a cui rivolgersi. Grazie per quanto potrà fare.

Giulia de Bellis

Gentile dottoressa de Bellis, innanzi tutto anche a nome del direttore che mi affida questa riposta, le dico grazie per l’attenzione che ci riserva e per averci scritto. Ma soprattutto la ringrazio per la sensibilità con cui ha accolto le mie parole. Persone come lei, danno senso al mio – e al nostro – raccontare. “Si può fare qualcosa?”, si domanda. Ed è bello. Un esempio per la politica internazionale che si sente sollevata da ogni responsabilità nei confronti dell’Afghanistan e della sua gente, complice anche il cono d’ombra mediatico in cui è precipitato dopo i riflettori puntati ne giorni del ritorno al potere dei taleban. Anche nei tempi bui dell’Emirato, sono tante le associazioni impegnate a portare almeno un po’ di sollievo a una popolazione ferita da oltre quattro decenni di guerra e dall’indifferenza globale. Personalmente, nel mio recente viaggio, ne ho incontrate tre, di cui ho potuto constatare direttamente la professionalità e affidabilità. Una di esse è Nove onlus che ha attivato proprio un programma per le mamme con situazioni particolarmente difficili, quelle appunto costrette a vendere i propri figli per far sopravvivere gli altri. La storia dell’articolo l’ho incontrata grazie a Nove (www.noveonlus.org). Un’altra è Emergency (https://sostieni.emergency.it/afghanistan), una luce nel Paese fin dai tempi del conflitto civile: è difficile trovare un afghano che non sia dovuto ricorrere alle cure gratuite e di qualità dell’Ong fondata da Gino Strada. E, infine, e questa è stata una sorpresa, ho scoperto che il Servizio gesuita per i rifugiati è tornato nella nazione nonostante i taleban e fa uno splendido lavoro per l’istruzione degli ultimi fra gli ultimi: gli sfollati interni e le bambine (https://jrs.net/en/story/wemust-not-forget-the-people-ofafghanistan/). Ancora grazie.

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