Lo shalom della doppia lealtà
sabato 12 ottobre 2019

C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro
Vangelo secondo Luca 4, 27

Servo. Servus, cioè schiavo. Anche nella Bibbia si incontrano molti servi. Per lo scrittore antico queste parole erano le parole ordinarie della vita, perché i servi e gli schiavi erano parte normale del loro mondo. Ma per noi no. Noi non possiamo trovare queste parole e passare oltre. Come il Samaritano dobbiamo fermarci e provare misericordia e poi chinarci. Noi siamo testimoni ed eredi di millenni di amore e di dolore per cercare di eliminare queste parole dal nostro vocabolario e dal nostro cuore – e non ci siamo ancora riusciti del tutto e ovunque. E la Bibbia ci ha aiutato a cancellare quelle parole che essa stessa aveva scritto. «Naaman, comandante dell’esercito del re di Aram, era un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato, perché per suo mezzo YHWH aveva concesso la salvezza agli Aramei [siriani]. Ma quest’uomo prode era lebbroso» (1 Re 5,1). Con la storia di Naaman, un uomo di rilievo del popolo siriano, incontriamo uno dei brani nei quali la Bibbia supera se stessa. YHWH aveva concesso la salvezza ai siriani, a un popolo diverso e nemico di Israele. In un periodo storico ancora dominato dall’idea degli dèi nazionali, dalla religione etnica, in Israele si scrissero pagine che annunciavano una religione universale e inclusiva. Quel popolo incominciò a capire che le preghiere della sua gente potevano essere vere se erano anche le preghiere degli altri; che il loro Dio poteva essere "Padre nostro" solo se quel "nostro" raggiungeva tutti.

Naaman è un uomo malato, è un lebbroso. Quando nella Bibbia incontriamo un lebbroso, il cuore corre ai vangeli, e poi riprende la corsa e arriva fino a Rivotorto d’Assisi. Lì trova Francesco e il suo bacio al lebbroso, che segna una tappa decisiva della sua vita e della storia spirituale d’Europa. Questa è la Bibbia: un viaggio etico e spirituale nel tempo e dentro l’uomo, che comincia e ricomincia in ogni sua pagina. «Ora bande aramee avevano condotto via prigioniera dalla terra d’Israele una ragazza, che era finita come serva della moglie di Naaman. Lei disse alla padrona: "Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria, certo lo libererebbe dalla sua lebbra"» (5,2-3). Naaman crede alla sua serva, ne parla al suo re, che gli scrive una lettera di presentazione per il re d’Israele. Con questa lettera in mano Naaman parte: «Il re d’Israele si stracciò le vesti dicendo: "Sono forse Dio per dare la morte o la vita...? Egli cerca pretesti contro di me"» (5, 6-7). I due re non si intendono. Il discorso tra una ragazza serva, un malato e un profeta non poteva essere intercettato dalla logica dei potenti – quante guerre e quanto dolore ci sarebbero risparmiati se ragionassimo come le ragazze, come i malati e come i profeti!

Ma Eliseo mandò a dire al re: «Perché ti sei stracciato le vesti? Quell’uomo venga da me e saprà che c’è un profeta in Israele» (5,8). Naaman il siro si reca da Eliseo, il quale gli invia un suo assistente che gli dice: «Va’, bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano» (5,10). Ma Naaman considera questa soluzione troppo semplice. Aveva fatto tutto quel viaggio solo per immergersi in un fiume? Dove sono i riti, i gesti, le parole e le mani del guaritore? Naaman protesta contro questa soluzione troppo semplice. Sulla base di quanto accadeva coi guaritori del suo Paese, aveva una sua idea del protocollo della sua guarigione, e rifiuta quello offertogli da Eliseo perché troppo ordinario. Non è raro che rifiutiamo la soluzione di un problema perché ci appare troppo semplice. Non la vediamo perché la cerchiamo negli effetti speciali e nei fenomeni straordinari (5,11). Ma anche qui, altri servi, portano una benedizione: «Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: "Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l’avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: bàgnati e sarai purificato"» (5,12-13). È il buon senso dei semplici, che sa vedere soluzioni facili quando "grandi" cercano soluzioni complicate inesistenti. Naaman guarisce: «Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo» (5,14). Da questa guarigione inizia la sua conversione religiosa: «Tornò con tutto il seguito dall’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: "Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono [berakà] dal tuo servo"» (5,15).

Naaman, uomo ricco, vuole fare un dono ad Eliseo come segno di gratitudine e benedizione: «Eliseo disse: "Per la vita di YHWH, alla cui presenza io sto, non lo prenderò". L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò» (5,16). In un altro fiume (lo Yabbok), la ferita (non guarita) generò una benedizione (berakà). Qui la ferita è sanata, ma il guaritore non accetta la benedizione. Come mai questo rifiuto? Eliseo segna l’inizio di una nuova forma di profezia, quella spirituale, in un contesto medio-orientale dove il profetismo era un mestiere, intrecciato con guadagni e commerci. Qui Eliseo vuole distinguersi nettamente dalla profezia commerciale dei "figli dei profeti". La sua profezia è tutta grazia, charis, gratuità. Non ha guarito per interessi, ma per vocazione. Anche la profezia, come tutti i doni, vive dentro rapporti di reciprocità. Ma, soprattutto all’inizio, quando si deve segnare una discontinuità (quando comincia una vocazione, nasce un nuovo rapporto, si fonda una nuova realtà …) la reciprocità, necessaria nei rapporti ordinari, può essere un ostacolo, perché, pur essendo diversa, la sua natura di dare-e-ricevere la fa somigliare troppo a un contratto commerciale. Allora, in certi momenti fondativi e straordinari, il dono dice se stesso dicendo di no alla normale reciprocità che quasi sempre l’accompagna. Dice "no" per dire "sì" a qualcosa di più profondo; perché se ci può essere dono vero anche senza reciprocità, non c’è dono vero senza gratuità. Come quando facciamo il nostro primo dono a una persona alla quale teniamo molto e non vogliamo nessuna altra ricompensa che non sia la gioia impressa negli occhi di chi ci guarda grato, perché qualsiasi altra "cosa" ridurrebbe la purezza e la bellezza di quel nostro dono. Eliseo per dire che la sua profezia è tutto e solo grazia rinuncia anche alla reciprocità.

«Allora Naaman disse: "Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo a YHWH» (5,17). Quel "no" a un dono generò altri doni. Con un dettaglio interessante e inatteso: Naaman incontra un rifiuto da Eliseo, e quel rifiuto gli fa chiedere ancora qualcos’altro (la terra: l’adamah). Qui un dono senza reciprocità produce un altro dono da parte di chi era già "creditore". E non solo per ragioni di culto (costruire un altare). Queste cose strane sono comuni nelle dinamiche sociali di dono, dove il "debito" creato da un dono non si restituisce con un contro-dono ma con un nuovo dono da parte di chi aveva già donato. Se non fosse così, la vita sarebbe troppo simile a un mercato, e ci perderemmo gli spettacoli morali più belli delle donne e degli uomini. Questa logica di dono sfugge invece completamente a Giezi, il servo di Eliseo, che inseguirà Naaman per ottenere, con l’inganno, una parte dei doni non accettati da Eliseo (5,20-27). Prima di congedarsi da Eliseo, Naaman gli dice qualcosa che ci spalanca un nuovo orizzonte: «Quando il mio signore entra nel tempio di Rimmon per prostrarsi, si appoggia al mio braccio e anche io mi prostro nel tempio di Rimmon» (5,18). Naaman era alto funzionario in Siria, per svolgere il suo lavoro doveva accompagnare il re nel tempio del dio Rimmon. Ora che si è convertito potrà continuare a svolgere questo lavoro? Come mettere insieme la nuova fede con il vecchio mestiere? Naaman si sente stretto dentro una doppia lealtà: quella al suo lavoro, alla sua vita ordinaria, alla sua patria, e la lealtà alla sua nuova fede. Ora sa che Rimmon non è il vero Dio, lui vuole onorare solo YHWH; ma la sua vita continua nella stessa società di prima.

La storia ha conosciuto soluzioni diverse a questo conflitto. Alcuni sentono che la seconda nuova lealtà non è compatibile con la prima. Lasciano posti di lavoro, Paese, famiglia, e cambiano vita religiosa e vita civile. Le due lealtà si riducono a una sola. Qui Eliseo dà invece una risposta sorprendente: «Shalom»: vai in pace (5,19). Ma come? Il profeta, il paladino della coerenza estrema a ogni costo, dice al nuovo convertito di non preoccuparsi di questa duplice lealtà? Più una persona è coerente con i propri valori e principi, più è tollerante con le scelte degli altri. La propria coerenza non diventa un giogo da mettere sugli altri. Sono invece i "dottori della legge" e gli "scribi" che impongono pesi ad altri che loro stessi non vogliono portare. I profeti veri sono maestri di misericordia, di umanità, di compassione, e portano loro pesi pesanti per non farli portare agli altri. Trascinano loro stessi la croce, e dicono parole d’amore agli altri crocifissi.

I profeti non concedono un centimetro ai compromessi nella loro vita, e poi sanno che le donne e gli uomini che lavorano perché devono mandare i figli a scuola, devono vivere tra molte doppie lealtà. Devono lavorare in banche, in uffici e in imprese che non sono sempre come il loro Dio vorrebbe che fossero, devono qualche volta inchinarsi ai falsi dèi insieme ai loro capi. Che si chiedono ogni giorno: come vivere da fedeli in "terra straniera"? Uomini e donne che sanno che quella che fanno non è la vita che vorrebbero e dovrebbero fare, e magari cercano nuovi lavori, che quasi mai arrivano; e mentre e finché devono lavorare in quelle banche e in quelle imprese possono solo cercare di lavorare bene, meglio che possono, di offrire, con mitezza, il braccio ai loro "padroni". Vanno avanti ogni giorno per quella lealtà spirituale che è la stessa lealtà verso quella famiglia di cui si devono prendere cura con il loro salario. A tutte queste persone che non hanno la possibilità di scegliere le banche e le imprese dove lavorare, a questi fedeli in esilio, Eliseo e la Bibbia ripetono ancora: "Shalom", vai in pace, abita questa doppia lealtà. Infine, è particolarmente bello e commovente che il nostro commento dei Libri dei Re ci abbia portato oggi a incontrare la benedizione ad un Siro, a leggere che Dio ha «concesso la salvezza ai siriani». Che questa frase diventi preghiera.

l.bruni@lumsa.it

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