mercoledì 16 novembre 2016
L'hanno trovato impiccato in Chiesa ma nessuno crede a questa versione. Sullo sfondo gli affari sporchi di due ex dirigenti dell'intelligence.
Prete anti-narcos «suicidato», giallo in Argentina
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Questa sembra la cronaca di una morte annunciata e “comoda” per alcuni. Almeno tanto si potrebbe dedurre da menzogne, smentite, voci di corridoio diffuse “ad arte” e spesso rilanciate dalla stampa, allo scopo di calmare le acque e assicurare che no, padre Juan non lo hanno ammazzato i trafficanti, gli sfruttatori, i latifondisti, i narcos che lui denunciava senza sosta. Al contrario, si è tolto di mezzo da solo. Roba di donne e di una vocazione in crisi. La verità, però, è ben più complessa. «È difficile vivere così». «Non ce l’hanno solo con me, minacciano i miei familiari». «Mi inviano via Facebook messaggi privati. Compare la foto di mio nipotino e sotto la scritta: “Già sai se non stai zitto”». «È cominciato dopo la questione della denuncia alla Commissione per i diritti umani contro alcuni tipi “tosti”. Gente della “comuna”, di Delfín Gallo, della polizia». Il tono è fermo ma addolorato. Juan Viroche parla per oltre tre minuti. E conclude così: «Magari sono io che la faccio troppo grossa. Vedremo...». Poi invia a un amico l’audio registrato su Whatsapp. Qualche giorno dopo, il corpo dell’autore del messaggio viene trovato impiccato al soffitto della chiesa di Nostra Signora del Valle di La Florida, di cui era parroco.

È trascorso oltre un mese da quel tragico 5 ottobre e la morte di padre Juan, nel Nord dell’Argentina, resta un mistero. Come quella di molti altri sacerdoti in America Latina, da anni il Continente più pericoloso per gli operatori pastorali. Ben 121 hanno perso la vita tra il 2005 e il 2015. Quest’anno sono già 18, tra cui undici sacerdoti. Molto spesso, i delitti vengono liquidati da autorità corrotte e media compiacenti come il risultato delle “vite disordinate” delle vittime. In genere, spuntano presunte amanti o tormentati triangoli. Una tecnica simile – seppure con i dovuti distinguo data la differenza di contesto – a quella impiegata durante le “guerre sporche” che insanguinarono l’America Latina negli anni Settanta, Ottanta, Novanta. Anche allora tanti fra i cristiani maggiormente impegnati per i diritti umani scomparivano in misteriosi incidenti stradali, tentativi di rapina o improbabili crimini passionali. Ai tempi, però, il movente era politico. Ora è il crimine organizzato la principale minaccia. A Tucumán dopo un’autopsia eseguita in tutta fretta – meno di un’ora –, a porte chiuse e non registrata, la Procura è intenzionata a chiudere il caso di padre Viroche come “suicidio”. Familiari, collaboratori, fedeli, però, non demordono: «Il nostro sacerdote è stato ammazzato dalle mafie contro cui si batteva», affermano. Il 2 giugno, padre Juan aveva accompagnato un gruppo di parrocchiani di fronte alla Commissione per i diritti umani. E là aveva descritto La Florida come un villaggio semifeudale, dominato da una ristretta élite di padri-padroni. I quali impongono agli abitanti tasse arbitrarie o turni di lavoro gratuito nelle proprie case e aziende. Oltre a gestire il commercio di droga e un giro di baby prostitute.

Il “paco”, lo scarto del processo di produzione della cocaina che brucia il cervello in pochi mesi, viene venduto alla luce del giorno a bimbi e adolescenti. Per lo più poveri, dato che una dose costa l’equivalente di 1,5 euro. Spiccioli per i narcos: serve più che altro per assicurarsi un esercito di fedelissimi. I soldi veri li fanno con la polvere bianca, esportata negli Usa o in Europa. «Lo spaccio è diventato cronico negli ultimi tre anni. Segno che ormai Tucumán e l’Argentina non sono più solo un trampolino nel viaggio della droga dal Sud al Nord del Continente ma centro di produzione e snodo strategico», racconta ad Avvenire padre Daniel Clerici, impegnato, come padre Juan, nel recupero dei tossicodipendenti e nella prevenzione. L’emergenza per padre Clerici come per padre Vircoche ha il volto spettrale dei ragazzini vittime del paco.

È stato questo dolore a spingere padre Juan, dopo l’incontro del 2 giugno, a chiamare in causa la “coppia d’oro” di La Florida: l’attuale amministratrice della circoscrizione, Inés Gramajo, e il marito, nonché predecessore, Arturo Soria. «L’ha fatto per noi e non noi non lo abbandoniamo», ripete la gente di La Florida: ogni venerdì, in centinaia manifestano a San Miguel de Tucumán – distante una ventina di chilometri dal villaggio – per chiedere giustizia. Li appoggiano attivisti per i diritti umani dall’intera Argentina – tra cui il prete anti-narcos José “Pepe” Di Paola e Gustavo Vera, fondatore dell’associazione anti-tratta La Alameda –, intellettuali, giuristi. Tutti sottolineano i dettagli sospetti. Le ecchimosi sul cadavere del prete, il tavolo rovesciato a un’entrata della parrocchia e il grande Cristo in pezzi.

Il dossier è incompleto: mancano i filmati di rigore della scena del decesso, gli inquirenti dicono di aver dimenticato di farli. A spuntare, senza alcuna prova o conferma, sono indiscrezioni di numerose “fidanzate” del sacerdote, di cui gli amici più cari ignoravano l’esistenza, tempestivamente rilanciate dai media. La stessa scelta del luogo del “suicidio” è, inoltre, inquietante: in chiesa, di fronte all’altare. Come pure l’abbigliamento della vittima. Al momento della morte, padre Viroche indossava una maglietta con il volto di Che Guevara. «E fin qui niente di strano. Juan ammirava il Che per la sua lotta per la giustizia», dice padre Daniel. Chi lo conosce, però, sa che quella tshirt non era sua. «Non l’aveva mai messa prima», aggiunge. E poi c’è la scritta sulla parte posteriore della maglietta bianca. Dice: «Sappiano i nati e chi deve nascere che siamo nati per vincere e non per essere vinti». La firma di menti raffinate, «che in questa circostanza sembra un messaggio in codice mafioso», sottolinea padre Clerici. Poi c’è la questione delle minacce. Secondo fonti di Avvenire vicine alle indagini, dallo scorso dicembre, per quattro volte, la casa di Viroche era stata “visitata” da bizzarri ladri che avevano frugato dappertutto senza portar via nulla. Tranne la corona della Vergine Maria. Il sacerdote aveva parlato delle intimidazioni con gli amici e con lo stesso vescovo, monsignor Alfredo Zecca. Quest’ultimo aveva deciso di mandarlo in un’altra parrocchia, al fine di proteggerlo. Non ha, però, fatto in tempo. Padre Viroche avrebbe deciso di “suicidarsi” poco prima del trasferimento.

«È assurdo. Non l’avrebbe mai fatto. Era un lottatore. Un cristiano. E amava la vita», racconta ad Avvenire la sorella Myriam. Le brutte sorprese non si fermano qui. Per eseguire un delitto del genere e poter contare su una certa inerzia degli inquirenti, occorrono ottime entrature nei palazzi che contano. A Tucumán non mancano i possibili candidati. Alcuni degli investigatori sono legati a uno degli uomini più misteriosi della storia argentina. Si chiama Antonio Jaime Stiuso, e per anni è stato il capo del controspionaggio. Costretto a lasciare l’intelligence dopo una serie di losche vicende, Stiuso si è messo in affari con il suo ex vice, Raúl Martins. Ragione sociale: sfruttamento del lavoro schiavo, prostituzione, locali a luci rosse, droga. Tutto nella più completa impunità. Secondo alcune denunce depositate a Buenos Aires, Stiuso è l’uomo che a partire dagli anni 90 avrebbe spiato, nell’interesse dell’allora presidente Kirchner, i notabili argentini e alcuni vescovi, compreso Jorge Mario Bergoglio. Stiuso approfittava del suo incarico usando le intercettazioni illecite per ricattare quanti avevano scoperto che lui in realtà era immischiato in una serie di traffici sporchi. La rete di night club dell’accoppiata Martins-Stiuso si estende dal Messico all’Argentina. E nessuno si sarebbe mai lamentato se la figlia di Martins, quando scoprì gli affari del padre, non avesse deciso di denunciare il genitore per tratta di esseri umani. Questi, per tutta risposta, ordinò che la figlia venisse eliminata. Ma non fece i conti con il misterioso 'protettore' della ragazza, un uomo che la rassicurò e la nascose fino a quando la denuncia non fu depositata e la sua vita messa al sicuro. Si trattava dell’allora vescovo Jorge Mario Bergoglio. Stiuso e Martins non sono estranei agli affari illeciti di Tucumán. Le reti di sfruttamento denunciate da padre Juan Viroche rimandano proprio a loro. E mentre la polemica arroventa l’Argentina, nella strade di La Florida, il supermarket del paco resta aperto 24 ore su 24.

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