giovedì 24 maggio 2018
La regola che legava sviluppo e denatalità vacilla. Nelle regioni europee più avanzate i figli crescono con il reddito. Grazie a lavoro, parità dei ruoli, conciliazione. E ai poveri chi pensa?
Ora le nascite aumentano solo dove c'è più ricchezza
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Per decenni gli esperti di demografia e di economia della famiglia hanno analizzato le dinamiche della popolazione alla luce di una regola solidissima: nei paesi più ricchi si fanno meno figli. La questione è stata studiata, approfondita, dibattuta, ma questa norma ha sempre resistito. Ora invece, stando a una ricerca appena pubblicata sull’European Journal of population, la teoria della transizione demografica secondo la quale l’avanzata dello sviluppo porta inevitabilmente un calo della fecondità, starebbe vacillando. Le prove sulla possibilità di invertire il declino delle nascite con l’aumentare del benessere dicono che anche le previsioni demografiche disastrose relative all’Europa potrebbero dover essere riscritte. Forse è presto per parlare di rivoluzione copernicana, ma la scoperta apre un ampio ventaglio di riflessioni sull’evoluzione della famiglia nelle economie avanzate.

«A sorpresa i risultati della nostra ricerca indicano che lo sviluppo non agisce più come un contraccettivo nelle regioni sviluppate, ma potenzialmente potrebbe promuovere una maggiore fecondità», ha spiegato Sebastian Kluesener, che firma lo studio insieme a Mikko Myrskyla, direttore dell’istituto Max Planck per la ricerca demografica, e a Jonathan Fox dell’Università Libera di Berlino. Ma a cosa si deve questa inversione di tendenza? Analizzando 250 regioni di 20 paesi europei i ricercatori hanno trovato che nei territori più sviluppati si è incominciato a registrare un chiaro aumento del numero di figli per donna al crescere del reddito. Nel 1992 il rapporto tra fecondità e retribuzioni non mostrava differenze sostanziali al variare della ricchezza. Vent’anni dopo, nel 2012, ecco invece un trend in decisa crescita: più benessere, più bambini. La tendenza riguarda in realtà i contesti più evoluti. Il reddito, cioè, diventa una forza trainante per la fecondità quando persone con buoni livelli di retribuzione hanno la fortuna di vivere in una regione in cui sono diffusi i servizi per la cura dei figli, dove le aziende consentono congedi parentali generosi e margini di flessibilità e gestione del tempo che favoriscono la conciliazione tra il lavoro e la vita familiare.

Alla conclusione che nei contesti più avanzati tassi di sviluppo ulteriori possono invertire il declino della fecondità era già arrivata qualche anno fa una ricerca condotta da Francesco Billari, docente di demografia alla Bocconi, insieme sempre a Mikko Myrskyla, e pubblicata su Nature. Se si pensa all’Italia è avvenuto proprio questo: a differenza del passato i tassi di fecondità sono ormai più alti nel Nord sviluppato che al Sud. Oggi la conferma a questa intuizione è ancora più solida e indica che la fecondità può crescere ulteriormente se lo sviluppo aumenta. In un Continente sempre più vecchio l’analisi ha anche un valore "storico". Nell’antichità e nella società agricola il numero di figli e le risorse disponibili hanno di fatto sempre avuto una relazione positiva. Con l’avvento della rivoluzione industriale il discorso si è fatto più complicato: dal XIX° secolo le transizioni demografiche hanno insegnato che lo sviluppo riduce sempre la taglia della famiglia. Un "paradosso" cui sono state date molte spiegazioni: economiche, sociali, culturali, religiose. Se ci si limita a uno sguardo economico sulla persona umana, la teoria insegna che lo sviluppo fa salire i costi opportunità dei figli e spinge le persone ad averne meno. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ha accentuato questo processo. Ora non è più così. Ma cosa serve per sostenere la fecondità nei paesi ricchi, in particolare nelle regioni più depresse di questi?

Le misure in grado di incidere sulla natalità sono molte e note. Un primo gruppo di aiuti prevede incentivi monetari alle famiglie, sussidi o detrazioni fiscali elargiti in base ai figli. Quando sono ben calibrati funzionano, come insegna l’esempio francese, tuttavia si è visto che questo tipo di misure avvantaggia chi vive nelle aree meno "avanzate". Dove invece il contesto è più competitivo, come le grandi città o le regioni più innovative, ecco che funzionano meglio altri interventi. Nelle famiglie in cui l’istruzione è alta ed entrambi i genitori lavorano, la fecondità è sostenuta da una precisa combinazione di fattori: divisione paritaria dei compiti tra padre e madre, disponibilità di servizi pubblici di assistenza all’infanzia, congedi parentali estesi, possibilità di rientrare al lavoro dopo la nascita dei figli senza penalizzazioni di carriera, accordi di lavoro flessibili che consentono di conciliare il lavoro e la cura della prole. Internet e le tecnologie digitali rappresentano un altro elemento positivo, perché riavvicinano il lavoro alla casa, un po’ come era nella società agricola, e favoriscono una migliore gestione del tempo da parte dei genitori. I territori più avanzati, inoltre, attirano migranti e giovani, circostanza che si accompagna a un aumento delle nascite e della popolazione. Francia, Belgio, Svezia, Norvegia, Austria sono i paesi in cui questi processi appaiono più evidenti.

La scoperta che i tassi di natalità possono riprendere vigore anche nel mondo più sviluppato è una buona notizia. Ed è significativo che a fare la differenza sia un aumento del "benessere" inteso come ricchezza di lavoro, di reddito, ma anche di tempo, servizi, qualità della vita e relazioni. Tuttavia ci sono alcuni elementi critici da considerare. Intanto il rialzo della fecondità registrato nelle aree più attive resta contenuto, quasi sempre sotto il tasso di sostituzione dei 2,1 figli per donna. Dunque stiamo parlando di una ripresina. Inoltre, se abbiamo trovato il modo per favorire le nascite nel mondo ricco, è anche vero che le condizioni ideali non sono facili da raggiungere, e questo può premiare le élites, generando nuove disuguaglianze e ulteriori tensioni tra i "centri" più progrediti e le "periferie" dello sviluppo. Il rischio, insomma, è che i figli diventino un privilegio.

«In un Paese che ha tassi di sviluppo al suo interno molto diversi – spiega Billari – servirebbe un mix di politiche con interventi come il reddito garantito per i minori, a beneficio soprattutto dei contesti più poveri, e più servizi e welfare quando è necessario favorire la conciliazione». Al di là di tutto, le ricerche dimostrano che dove la ricchezza e il benessere sembrano avere dato tutto alle persone, il desiderio di figli e di famiglia non si spegne, ma continua a essere forte e, appena trova lo spazio, riemerge con tutta la potenza del messaggio di gioia e speranza che porta con sé.

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