venerdì 10 settembre 2021
L’anno scolastico che si apre in questi giorni invita a riflettere ancora sul senso dell’insegnamento
I cambiamenti non saranno semplici perché ci si dovrà riferire ad abilità diverse rispetto a quelle coltivate fin qui, e riguardano i docenti, gli alunni, le famiglie. I contenuti perdono il posto privilegiato

I cambiamenti non saranno semplici perché ci si dovrà riferire ad abilità diverse rispetto a quelle coltivate fin qui, e riguardano i docenti, gli alunni, le famiglie. I contenuti perdono il posto privilegiato - Ansa

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Tutti abbiamo vissuto una vita scolastica. E tutti con l’esperienza della classe, fatta di un luogo, un insegnante, tanti compagni, delle materie da apprendere e poi ripetere... Sicuri che è così? Che è solo così? Proviamo a entrare in questa classe, a partire dal primo anno di scuola materna fino all’ultimo delle superiori, (ma è corretto includere anche le aule universitarie).

La classe non è una stanza contenitore, l’aula, buona per ogni momento formativo: produce formazione per un intreccio felice tra le comunicazioni che facilita, i rapporti che mette in essere, l’incrocio positivo tra diritti e doveri, i vincoli che fa rispettare, i contenuti che trasmette e che fa ricevere. Cioè è l’intreccio di relazioni tra insegnante e alunni, la vivacità tra il manifestarsi dei dubbi e le risposte di chiarimento, le lacune che si superano, i contenuti delle discipline che si trasmettono che, oltre ogni freddo dogmatismo, liberano la rigida trasmissione del sapere permettendo alla cultura di diventare elemento di formazione vitale, proprio mentre l’essere tutti, docente e discenti, volti verso una stessa finalità cognitiva (l’uno insegnando, gli altri apprendendo) ne attua una vera finalità etica, anche nel superamento di differenze e contrasti.


L’educazione è un’azione complessa, con alta finalità sociale: umanizza la società mentre socializza la persona umana
Dopo il Covid la scuola può essere migliore

E poi, come possiamo pensare alla classe riducendola alla sola aula? Se ricordiamo la nostra vita scolastica, nella cadenza ritmata del succedersi degli anni, ricordiamo soprattutto come le nostre relazioni e le nostre emozioni si sono incrociate con quelle degli altri mentre abbiamo vissuto lavori in gruppo, laboratori, intervalli, patemi per interrogazioni, gioie per promozioni, sconfitte per insuccessi, ma anche gite o viaggi di istruzione, paura per il professore rigido, fascino per quello carismatico, gioia per un compagno che supera un momento difficile, gelosia per quel-l’altro che conquista qualcosa, e poi magari una cotta e poi un’altra... La chiamano 'socializzazione', ma possiamo chiamarla palestra di vita, in cui ci sono confronti, sconfitte, successi, inadeguatezze... e poi crescita, apprendimento. Perché a scuola i legami tra tutti si alimentano e nutrono anche e forse soprattutto in riferimento a quanto e a come viene appreso: e allora ci si affascina insieme per una ricerca di fisica, una lettura e analisi di Dante, una stessa epoca storica.

Oppure no. Perché chi insegna può essere solo un trasmettitore di corrette informazioni se non sa essere un vero educatore, cioè se non sa suscitare in ciascun alunno l’entusiasmo per la com- prensione di una regola di matematica o per la suggestione nata dalla lettura di un brano poetico. Il verbo insegnare è vuoto di significato se non è intimamente collegato al verbo apprendere. E ciò che si trasmette e poi si apprende a scuola avviene in tempi e modi ben definiti. Tutta l’organizzazione della vita scolastica è supporto allo schema mentale che ci organizza le abitudini di vita. Svegliarsi al mattino, prepararsi, uscire da casa, recarsi a scuola, rispettare orari e regole: azioni che da grandi si farà quando, ogni mattina, ci si recherà al lavoro. A un tempo disciplinato (scuola o lavoro) si aggiunge uno libero (tardo pomeriggio), così come il tempo per le vacanze (o ferie). E ora? Il Covid-19 ha investito il mondo intero scardinando tutto: ci ha tolto persone care, lavoro, tempo libero, ci ha tenuti lontani da parenti e amici infettando ogni relazione, investendo come uno tsunami anche la scuola. Ora si riparte. Come andrà? Cosa resterà alla scuola o nella scuola? Servirà ancora la scuola, così come fin qui intesa, a fronte di uno schermo che con un clic trasmette tutto lo scibile?

Riflettiamo con umiltà su quanto sta accadendo nessuno può avere una soluzione magica in tasca né può essere portatore di verità. I cambiamenti non saranno semplici perché ci si dovrà riferire ad abilità diverse rispetto a quelle coltivate fin qui nella nostra scuola: e sono abilità che riguardano i docenti, gli alunni, le famiglie. I contenuti perdono il posto privilegiato e diventano prevalenti la ricerca, il lavoro di indagine, il significato da dare alle scoperte. Negli anni 60, ad esempio, eri bravissimo in geografia se conoscevi tutte le capitali o le montagne più alte del mondo, oggi è più necessario che tu sappia orientarti, per saperle trovare su una cartina o meglio su Google Maps. Ecco perché serve insegnare a 'orientarsi' sui miliardi di contenuti che arrivano dalla rete.

L'uomo ha da sempre educato i suoi piccoli guidandoli verso la vita adulta. L’ha fatto sin dalla preistoria, con mezzi, modi e finalità che si sono modificati, arricchiti, variegati nel succedersi degli anni, dei secoli, dei millenni. A noi è toccato vedere e vivere una rivoluzione antropologica con strumenti avveniristici: cosa sarebbe accaduto alla scuola in situazione di pandemia, solo 15 anni fa? La didattica a distanza (attenzione: didattica, cioè metodo, non educazione!) è stato uno strumento: improvvisato, maldestro, abusato, ottimo... ma solo uno strumento che ha collegato la classe, mentre ciascuno era in casa propria. L’educazione invece è azione complessa, con alta finalità sociale perché umanizza la società mentre socializza l’essere umano. Ma questo accade solo se si intrecciano riflessioni e ipotesi di soluzioni diverse e di volta in volta modificabili perché adattabili non solo in riferimento al rapporto autorità-libertà, cioè insegnante alunno, ma anche in relazione ai bisogni emergenti di tipo orizzontale tra gli alunni del gruppo classe.


La priorità resta l’attenzione educativa: all’alunno da formare e agli alunni in interazione tra loro

Forse la scuola che nascerà a fronte di una società nuova e più composita, dovrà superare la suddivisione tra un sapere alto, eterno e a priori disciplinato, e un sapere basso, tecnologico, in continuo mutamento e superamento, con necessità continua di aggiornamento. La plasticità della nostra mente oggi richiede di elaborare senza sosta i dati con cui veniamo in rapporto: non ci può essere una gerarchia di saperi data a priori, ma una sorta di rete in cui conoscenze di diversa natura si arricchiscono e interagiscono. Tutto questo non significa capovolgere significati o valori dei contenuti culturali: Dante è sempre Dante, così come La Rivoluzione Francese o il teorema di Pitagora, ma la loro conoscenza si va a interfacciare con contesti più dinamici e operativi, stimolando anche altre forme di intelligenza. Del resto tutti ci accorgiamo che per non essere storditi o schiavizzati dalla enorme quantità di informazioni con cui quotidianamente ci confrontiamo abbiamo proprio bisogno di saper utilizzare quanto ci offrono scienza e tecnica.

La scuola, dunque, sempre più dovrà prendersi cura di coltivare non solo l’intelligenza linguistica-verbale o logico-matematica, ma anche la complessità delle abilità mentali, quelle multiple o pluridirezionali descritte da Gardner: corporea-cinestesica, intra ed interpersonale, esistenziale, naturalistica. Ma sempre con una imprescindibile priorità: l’attenzione educativa all’alunno da formare e agli alunni in interazione tra loro.

Docente di pedagogia generale, Università Statale di Brescia


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