mercoledì 12 ottobre 2022
Il recente accordo con il Qatar è rivelatore di una nuova strategia di apertura su più fronti per contrastare gli effetti della pandemia e del conflitto russo-ucraino. Decisiva la vicinanza con Mosca
Da cosa ha origine e dove può portare la diplomazia a 360 gradi del Cairo. Nella foto il cantiere del centro direzionale in costruzione nella nuova capitale amministrativa a 45 chilometri dal Cairo, in Egitto

Da cosa ha origine e dove può portare la diplomazia a 360 gradi del Cairo. Nella foto il cantiere del centro direzionale in costruzione nella nuova capitale amministrativa a 45 chilometri dal Cairo, in Egitto

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L’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, piegato dagli effetti economici di pandemia e conflitto russoucraino, cerca un posizionamento internazionale vantaggioso per la casse dello Stato. E lo fa tendendo la mano in segno di riconciliazione anche agli avversari. La recente visita di al-Sisi in Qatar, il 13 e 14 settembre, è emblematica di un nuovo corso politico intrapreso dal Cairo nel 2021 e in accelerazione quest’anno. Fra egiziani e qatarini non scorre buon sangue da quasi un decennio, cioè dalla destituzione violenta del presidente Mohammed Morsi da parte dell’allora numero uno delle Forze armate, generale al-Sisi. Morsi, eletto alla presidenza della Repubblica nel giugno del 2012, era un esponente di spicco della Fratellanza musulmana egiziana. Il suo arresto – e la successiva detenzione, fino alla morte in un’aula di tribunale nel 2019 – è stato un boccone amaro per la dinastia degli al-Thani, che supporta gli Ikhwan al-Muslimun (Fratelli musulmani, in arabo) in tutte le loro derivazioni afro-mediorientali, al pari della Turchia.

Il punto più basso delle relazioni fra il sultanato e il Paese nordafricano, però, si è toccato nel 2017, quando quest’ultimo ha aderito all’iniziativa di isolamento politico ed economico del Qatar decretata da Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrain. Messa in castigo dai Paesi dell’arco islamico sunnita, di cui fa parte, l’emirato ha finito per avvicinarsi all’Iran, campione degli sciiti. Nel 2021, il ripristino graduale delle relazioni con tutti i vicini, Egitto compreso, su stimolo di Washington: per l’Occidente il Qatar ha un ruolo strategico di intermediazione con l’Afghanistan dei taliban, oltre ad essere un hub militare imprescindibile. E più di tutto, una riserva di gas di rilievo mondiale. Dal riavvicinamento fra Il Cairo e Doha sono scaturiti tre Memorandum d’intesa economico-commerciali, di cui uno riguardante i rispettivi fondi sovrani. Già all’inizio della primavera, tuttavia, l’emirato del Golfo aveva reso ufficiale l’investimento di oltre 4 miliardi di euro nel Paese, in parallelo ad un allungo del gruppo nazionale QatarEnergy nei campi di gas egiziani. La società sta compiendo esplorazioni nel Mediterraneo Orientale.

Ma affinché la normalizzazione sia tale, i dossier da sbloccare sono tanti e spinosi: in primis quello libico. Anche in Libia il Qatar ha lungamente sostenuto i clan di matrice islamista, collegati alla Fratellanza musulmana. La presidenza al-Sisi, invece, ha trovato nel generale Khalifa Haftar una maggiore affinità politica, pur cercando di farsi promotrice di svariati round negoziali fra i governi di Tripoli (riconosciuto dalla comunità internazionale), quello di Benghazi-Tobruk e altri attori sul campo. Tutto inutile: per l’Egitto, il vicino di casa rappresenta un pericolo costante di instabilità. E per chiudere la partita è inevitabile sedersi al tavolo con i contendenti qatarini e pure turchi. Il recupero dei rapporti con Doha ha quindi impegnato parecchio la diplomazia egiziana nell’ultimo anno, senza che però venissero trascurati altri fronti. Sono sempre più solidi i rapporti con il regno saudita e gli Emirati, il cui impegno finanziario in Egitto è talmente cresciuto da necessitare la creazione di società apposite per la gestione dei rispettivi interessi in loco. La cooperazione con Mosca non è mai stata in discussione, neanche dopo l’invasione in Ucraina. Anzi. In seno alla Lega degli Stati arabi, l’Egitto si è fatto protagonista della nascita – poi avvenuta nel mese di marzo – di un gruppo di raccordo, una sorta di task force diplomatica, per mediare proprio fra Mosca e Kiev. Ne fanno parte, oltre al Paese promotore, anche Giordania, Algeria, Iraq, Sudan ed Emirati Arabi Uniti. In aprile, la crème della Lega araba si è recata prima al Cremlino e poi a Varsavia (dove ha incontrato il presidente ucraino Vladimir Zelensky) per avviare un processo negoziale.

Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha fatto tappa successivamente in Egitto a fine luglio, durante il suo tour africano, finalizzato a rafforzare i legami con alcuni pesi massimi del continente, come Etiopia e Uganda. A sua volta, al-Sisi, in un ping pong diplomatico intenso, ha visitato nel mese di agosto prima la Germania, poi la Serbia. E sulla crisi avente per protagonista l’isola di Taiwan si è espresso a favore di Pechino. Ma è nel rilancio di un processo di pace fra israeliani e palestinesi che Il Cairo potrebbe mettere a segno il colpo grosso, riesumando l’autorevolezza internazionale della dirigenza Mubarak: le recenti dichiarazioni del premier Yair Lapid davanti l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York a favore della nascita di uno Stato palestinese “pacifico” – accolte dalla destra nazionalista israeliana, come prevedibile, con indignazione – rappresentano il frutto maturo dello sforzo egiziano.


La cooperazione con la Russia non è mai stata in discussione, neanche dopo l’invasione dell’Ucraina.
In seno alla Lega degli Stati arabi, Il Cairo si è fatto protagonista della nascita di una task force diplomatica, per mediare proprio fra le due nazioni in guerra

Difficile ricostruire nel dettaglio quanto accaduto dietro le quinte, ma ricordiamo almeno due momenti cruciali nell’ultimo anno: la visita di Lapid – all’epoca ministro degli Esteri di Israele – al Cairo e la telefonata – resa pubblica dalla stampa filogovernativa egiziana – dell’8 agosto scorso fra il presidente Abdel Fattah el-Sisi e il primo ministro israeliano. Al centro del colloquio proprio i meriti egiziani nel fare digerire alle frange più agguerrite delle milizie di Gaza un cessate il fuoco, bloccando così l’ennesima escalation di violenza fra palestinesi e israeliani. Quanto ai rapporti con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen (Mahmoud Abbas), il confronto fra Il Cairo e Ramallah è continuo e ai più alti livelli: è dello scorso 7 settembre l’ultimo viaggio ufficiale del leader dell’Anp in Egitto per consultazioni politiche. Poi c’è la scottante questione idrica: le tensioni fra Etiopia, da un lato, ed Egitto-Sudan, dall’altro, per lo sfruttamento delle acque del Nilo non accennano a calare. Addis Abeba ha quasi portato a compimento la realizzazione della Great Ethiopian Renaissance Dam, la diga destinata a fare del Paese africano un esportatore di energia elettrica in tutta la regione, oltre che una nazione in via di sviluppo economico autonoma per il proprio fabbisogno. Alle spese dei due giganti africani che da sempre hanno goduto delle piene del Nilo Azzurro, l’affluente più grosso, a valle. Al momento la crescita socio- economica su cui Addis Abeba contava si è bruscamente arrestata: la guerra fratricida in Tigray ancor più che la pandemia e gli effetti del conflitto russo-ucraino hanno riportato a una sola cifra il tasso di crescita. Ma lo sviluppo di un sistema di dighe e sbarramenti articolato e diffuso in tutto il Paese non è in discussione.

Altamente probabile che l’impatto ambientale delle opere etiopi – in loco e anche sul piano continentale – verrà condotto sotto i riflettori internazionali durante la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop27, prevista proprio in Egitto dal 7 al 18 novembre. Un evento cui Il Cairo si sta preparando con attenzione meticolosa, con il coordinamento della ministra dell’Ambiente Yasmine Fouad, scienziata climatologa. Indiscutibile tuttavia il ruolo del ministro degli Esteri Sameh Shoukry, regista politico della conferenza. Per il futuro dei padroni di casa – ma ovviamente non solo per loro – sarà un evento delicato e cruciale, in cui le delegazioni statunitense e russa si incontreranno inevitabilmente in più occasioni. Dopo il summit di luglio sulla Sicurezza e lo Sviluppo, tenutosi a Gedda, in Arabia Saudita, i rapporti fra il palazzo di Heliopolis e la Casa Bianca si sono rasserenati. L’amministrazione americana ha recentemente annunciato lo sblocco di una tranche di aiuti militari al Cairo, pari a 170 milioni di dollari, a seguito di un miglioramento del rispetto dei diritti umani nel Paese. Il riferimento è al rilascio di 500 prigionieri politici dei circa 65.000 attuali.


È nel rilancio di un processo di pace fra israeliani e palestinesi che il Paese nordafricano potrebbe mettere a segno il colpo grosso, riesumando l’autorevolezza internazionale della dirigenza Mubarak

Dall’altro lato, però, c’è la vicinanza del Cairo al Cremlino: non è chiaro quanto rilievo Shoukry deciderà di dare alla delegazione della Federazione Russa, ma due elementi, fra tanti, meritano attenzione. Nel primo semestre del 2022, l’interscambio commerciale fra i due Paesi è aumentato del 40%. La centrale nucleare di al-Dabaa, nel governatorato di Matruh, sarà realizzata con expertise e sostegno economico della russa Rosatom. Tutti pezzi di un puzzle complesso, quelli sinteticamente illustrati, che fanno pensare a una strategia “zero problemi con i vicini”, un tempo della Turchia di Recep Tayyep Erdogan, rivisitata all’egiziana. Ed estesa a 360 gradi, per rilanciare presente e futuro di un gigante da 100 milioni di abitanti.

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