Perché l'eutanasia è prevaricazione e pretesa illusoria e schematica
mercoledì 23 ottobre 2019

Caro direttore,
grazie per la costante attenzione ai temi morali e bioetici. “Avvenire” svolge con continuità un’indagine ai confini della morale. Confini non stabili, ma sempre in spostamento in un mondo sempre più liquido e fluttuante. La vostra esplorazione si addentra in un oceano ogni giorno più esteso. Riguardo al tema del fine vita forse si potrebbe sottolineare un aspetto emerso poco nel dibattito. Si tratta della difficoltà nel definire le volontà individuali. Proprio secondo la moderna psicologia, come pure in base alla psicanalisi, l’individuo non è un ente unitario né univoco. Ciascuno di noi risulterebbe un arcipelago con molte componenti psichiche. In una stessa personalità, cioè, coesistono diverse pulsioni e differenti volontà. Talvolta contraddittorie. Nello specifico, come nel dramma di Ionesco “Il re muore”, dentro di noi convivono la pulsione di morte e l’istinto di sopravvivenza, la Regina Nera e la Regina Bianca del dramma teatrale. La modernità e il pensiero laico ce lo dicono ogni giorno: siamo esseri molteplici. Per semplificazione, superficialità o presunzione diciamo: «Io voglio». Tranne poi cambiare opinione il giorno dopo o un minuto dopo. Contraddicendo con i fatti o con atti mancati la nostra illusoria volontà apparentemente razionale. Pronti a mascherare di razionalità le nostre più irrazionali paure. Proprio in base al pensiero laico moderno, quindi, l’eutanasia risulta una soluzione schematica e illusoria. Si può configurare come una prevaricazione autoritaria e senza appello di una componente mentale rispetto alle altre soccombenti.

Tito Giliberto

Uno, nessuno, centomila. Non può non colpire l’approccio... pirandelliano di questa bella lettera. Eppure, gentile amico e collega, per quel che vale non mi convince affatto l’idea che i singoli esseri umani in sé (e non in quanto parte di una comunità) siano “arcipelaghi”. O meglio, può convincermi se l’immagine dell’arcipelago serve a ricordarci che nella nostra vita c’è spazio per cambiamenti di vita e di opinioni, e la libertà umana o, se vuole, il nostro libero arbitrio possono portarci ad atti e scelte anche molto diverse tra loro, purtroppo anche in aperta contraddizione con i valori dell’umanesimo concreto e positivo che in tanti condividiamo come retroterra culturale o magari, all’opposto, verso sane e persino eroiche resistenze alla pervasività di un pensiero dominante algido e letteralmente letale. Tuttavia, mi colpisce di più e davvero mi convince un’altra formula proposta nella lettera. Quella, caro Giliberto, secondo la quale l’eutanasia sarebbe una «soluzione schematica e illusoria» al problema della fatica di vivere. Sì, su questo siamo fortemente d’accordo. Così come siamo d’accordo sul fatto che la «prevaricazione autoritaria» della morte a comando è solo l’ultimo gradino di una scala deliberatamente lasciata senza altra luce che quella alimentata dalla solitudine, dall’insoddisfazione e dal dolore. Ecco perché non ci si può stancare di tenere occhi, testa e cuore in esercizio sulla frontiera mobile dei temi e dei fatti morali e bioetici.

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