Migranti, perché arrivare non sia un incubo
sabato 26 ottobre 2019

Centoquattro fantasmi si aggirano per il Mediterraneo, da sei giorni, nel silenzio assordante della politica italiana ed europea. Sono stati soccorsi dalla "Ocean Viking", imbarcazione targata Medici senza Frontiere e Sos Mediterranee, le Ong che da domenica scorsa chiedono un porto sicuro dove fare sbarcare tutti, soprattutto tante donne e bambini. Per due volte è stata mandata una comunicazione a Roma e a La Valletta affinché venisse indicata una destinazione certa per chi si trova a bordo. L’ultima richiesta, martedì scorso, ha ricevuto la risposta del Centro di coordinamento per il salvataggio marittimo italiano: il salvataggio è avvenuto in una zona non di nostra competenza (l’operazione è infatti avvenuta nella cosiddetta Sar libica) e sotto la regia di un altro Paese, è stato detto, aggiungendo poi che la nave in questione batte bandiera norvegese. Da allora, comunicazioni interrotte, anche se il destino dei migranti è stato comunque discusso ieri durante un incontro al Viminale col ministro Luciana Lamorgese, primo atto del possibile "disgelo" tra organizzazioni non governative e Ministero dell’Interno dopo la stagione delle accuse infondate e delle parole d’odio contro le Ong.

Nulla di nuovo, si dirà: scene che si vedono con regolarità da un anno e mezzo a questa parte, con i soccorsi che vanno avanti nonostante tutto, l’infinito tira-e-molla tra operatori umanitari e autorità, la propaganda che si attiva in modo immediato per sfruttare tutto per qualche voto in più. Invece, no. Questa volta era lecito aspettarsi di più e di meglio. Dall’Italia come dall’Europa. Che 104 esseri umani possano essere strumentalizzati in vista del voto regionale umbro, che si celebra domani, è cosa che non vogliamo neppur lontanamente pensare. Bisogna muoversi, subito, per non trasformare anche queste persone in ostaggi di una politica miope e cinica, disposta ancora una volta a cedere al baratto tra umanità e consenso, come troppe volte è purtroppo accaduto in passato. In realtà, negli ultimi due mesi qualcosa è cambiato, e gli accordi di Malta sono stati un segnale da raccogliere.

E qui veniamo alle responsabilità dell’Europa. Il 'no' ribadito giovedì all’apertura dei porti per motivi umanitari venuto dell’Europarlamento, con il ruolo attivo di un partito dell’attuale maggioranza di governo italiana, il Movimento 5 Stelle, conferma che nel Vecchio Continente e in Italia si è rimasti a metà del guado: frenata e persino spaventata dalla retorica sovranista del nemico alle porte (anzi, già in casa) Bruxelles non riesce ancora a diventare la cabina di regia necessaria per una virtuosa accoglienza diffusa di chi bussa alle porte dell’Unione. Ma coordinare meglio i soccorsi nella frontiera mediterranea, a est come a ovest, organizzare flussi migratori regolati, farsi carico di una redistribuzione equa dei richiedenti asilo e insieme ridefinire le regole di Dublino e del diritto d’asilo sono priorità vecchie ormai di dieci anni che la nuova Commissione dovrà decidersi ad affrontare.

La strada c’è già ed è stata tracciata proprio dal nostro Paese: porta nella direzione dei corridoi umanitari continentali, gli stessi corridoi che noi italiani abbiamo inventato – grazie all’iniziativa ecumenica di cattolici ed evangelici in accordo con il governo – e sperimentato con successo. Occorrono senza dubbio ben altri numeri rispetto a quelli odierni, ma sta qui la sfida decisiva per il governo dei flussi migratori extra-Ue. Vanno costruite strade sicure e legali per chi ha diritto a essere accolto come rifugiato e vanno programmati, concordati e regolati percorsi di accesso, altrettanto sicuri e legali, per quanti vorrebbero venire a lavorare in un Paese e un continente che di nuovi residenti lavoratori avrà crescente bisogno negli anni a venire.

È un governo, quello degli 'arrivi', che dovrà insomma coniugare umanità (verso chi parte) e fermezza (contro i trafficanti). La Libia resta un vicino scomodo, soprattutto per Roma e soprattutto adesso che si avvicina il termine per la necessaria ridefinizione delle intese strette per frenare, purtroppo a qualunque costo umano, le fughe dalle sponde del Paese nord-africano. Come il 'caso Bija' conferma. È per questo che non si può perdere tempo. Fantasmi tristi si aggirano e ombre cupe si accumulano nelle stanze della diplomazia e della politica. E troppi ambigui e inaccettabili silenzi stanno accompagnando la sorte dei 104 esseri umani inchiodati sulla tolda della 'Ocean Viking'.

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