Non possiamo lasciare un deserto ai nostri figli
mercoledì 3 novembre 2021

Gentile direttore,

come possiamo al meglio rallentare, e in ultimo invertire, il danno che gli uomini hanno provocato alla casa comune a partire dalla rivoluzione industriale? Questa è una domanda con cui i politici mondiali sono alle prese almeno dagli ultimi venti anni. Quali cambiamenti sono necessari alle nostre economie, ai nostri stili di vita, per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili? Come possiamo al meglio proteggere le comunità più vulnerabili dagli effetti del cambiamento del clima, ed aiutarle ad adattarsi alle nuove realtà? Nessuna di queste domande ha facili riposte e le opzioni possibili richiedono difficili compromessi, accordi a livello globale. Questo è lo sfondo del summit Cop26 dei leader mondiali che si è aperto a Glasgow il primo novembre.

Ora che i leader della Terra si riuniscono per iniziare le discussioni, forse ancora incerti su come rispondere, vi sono alcune voci fondamentali che possano essere ascoltate, da cui trarre ispirazione. Persone che hanno indicato chiaramente la chiamata all’azione e che, allo stesso tempo, hanno l’influenza morale per assicurare che il loro messaggio sia ascoltato ovunque.

Una di queste voci è quella di papa Francesco che, sin dall’inizio del suo pontificato, ci ha ricordato la fragilità della creazione, e la necessità di fare di più per proteggerla. Nella sua enciclica Laudato si’, il Santo Padre ha ricordato con dolore il degrado ambientale e il riscaldamento globale, chiamando ognuno ad intraprendere una «rapida ed unificata azione globale».

Negli ultimi sei anni, da quando ha scritto queste parole, papa Francesco è stato chiaro e coerente nel suo messaggio. E questo è ciò che ha ispirato noi dell’Ambasciata britannica presso la Santa Sede, insieme ai colleghi dell’Ambasciata italiana presso la Santa Sede, e la Santa Sede stessa, a cercare di allargare questo messaggio per includere scienziati e leader religiosi, rappresentanti di un vasto spettro di varie denominazioni, in una serie di discussioni sul cambiamento climatico, come parte degli eventi preparatori al summit Cop26 di Glasgow.

È stato davvero suggestivo sentire i leader religiosi parlare di una condivisa comprensione della responsabilità umana di occuparsi del pianeta, per consegnarlo alle generazioni future nello stesso stato in cui lo hanno ricevuto. Da questo dialogo è maturato un Appello congiunto formale ai leader mondiali, un appello per cogliere l’occasione offerta dal vertice di Glasgow per intraprendere azioni risolute, ora. E di trovare modi per supportare collettivamente il Sud globale nel suo sforzo di adattarsi.

Allo stesso tempo, i leader religiosi, che rappresentano circa il 70% della popolazione mondiale, riuniti insieme dalla visione di papa Francesco, si sono impegnati a lavorare con i loro fedeli per rispondere, a livello individuale e di comunità, alla sfida rappresentata dalla protezione del pianeta per le generazioni future. Riuniti nella Sala delle Benedizioni il 4 ottobre scorso, alla presenza del Papa, i leader religiosi hanno lanciato un chiaro messaggio: «Le generazioni future non potranno mai perdonarci se manchiamo l’opportunità di proteggere la nostra casa comune. Abbiamo ereditato un giardino: non dobbiamo lasciare un deserto ai nostri figli».

Questo messaggio è stato ascoltato dai Presidenti della Conferenza Cop26, l’onorevole Alok Sharma e l’onorevole Luigi Di Maio, i quali hanno riecheggiato queste parole nei loro messaggi ai leader globali dei giorni scorsi. Auspico che tutti i partecipanti a Glasgow, tutti coloro che hanno la responsabilità di guidare le nazioni del mondo in maniera giusta ed equa, possano anche loro ascoltare e condividere quel messaggio.

Come ha scritto papa Francesco già nel 2015: «Tutto non è perduto. Gli esseri umani, nonostante siano capaci del peggio, diventano anche capaci di innalzarsi sopra loro stessi, scegliendo di nuovo ciò che è buono e incominciare un nuovo inizio».

Ambasciatore britannico presso la Santa Sede

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