Non lasciate a sé stessa la protesta annunciata
giovedì 8 aprile 2021

L’inizio di una campagna di proteste un po’ in tutta Italia non arriva inattesa. Sono numerosi e seri i segnali di disagio sociale e di crisi economica accumulati dall’inizio della pandemia a oggi. Tante le povertà emergenti, anche tra chi ha sempre vissuto dignitosamente (e, a volte, persino agiatamente) grazie a un’attività autonoma, spesso a conduzione familiare. Ma sono ormai parecchie le volte in cui è stato chiesto un 'ultimo sacrificio', divenuto poi, purtroppo, numeri del contagio alla mano, il 'penultimo'. E così si aggiunge un altro grave stress agli affanni della campagna vaccinale, cui è affidata l’aspettativa di una vita 'seminormale' e del primo autentico avvio di quella ripresa della vita relazionale ed economica che tutti desiderano. Di fronte a questo scenario, istituzioni e politica non possono limitarsi ad allargare le braccia in segno di resa o a un finto abbraccio dei problemi messi in evidenza. Proprio perché i segnali vengono da lontano e da tempo sono ben distinguibili, c’è la responsabilità di trovare una risposta veloce, giusta ed efficace.

Non una qualche risposta 'una tantum', ma una proposta ben articolata, che faccia perno su tre pilastri che però stavolta devono essere piantati all’unisono, in modo sincrono: isolare, distinguere e ascoltare. Isolare chi vuole cavalcare la protesta e trasformarla in veicolo per un nuovo consenso sovran-populista e antisistema, puntando sul vero o presunto 'imborghesimento' di chi sinora si era fatto carico di queste istanze in Parlamento. In particolare, nella manifestazione di martedì 6 aprile in piazza Montecitorio si è visto nitido il tentativo di mettere alla protesta il 'cappello' della destra estrema, con richiami a parole d’ordine e icone trumpiane e con gesti di violenza inaccettabili contro le forze dell’ordine.

Ma dal punto di vista politico sarebbe un errore ridurre tutto a una faccenda di pubblica sicurezza. Anche perché, a fianco ad attivisti di destra, si palesa pure un tentativo di settori del lavoro autonomo – quanto sano e lineare lo si vedrà – di ritirare le 'deleghe' non solo ai partiti di tradizionale riferimento ma anche alle associazioni di categoria e di autorappresentarsi a partire da gesti di sfida quale quello di riaprire al pubblico i locali nonostante i divieti. Scommettendo anche sul fatto che ci sia parecchia gente disposta a infischiarsene delle misure di prudenza e a rischiare, sfidando una pandemia tutt’altro che domata come testimoniano tragicamente i 627 morti italiani di ieri.

Ma proprio questo governo, con una maggioranza così ampia ed eterogenea in cui nessuno può lucrare oltremodo sul disagio, ha delle cartucce in più per 'distinguere' e 'ascoltare' e venirne a capo. Distinguere, perché dentro il mare magnum del 'popolo delle partite Iva' continuano a insistere sacche di evasione ed elusione che rendono oggettivamente complicato mettere in piedi interventi che riescano ad aiutare chi ne ha davvero bisogno.

Non lo si può nascondere solo per ingraziarsi qualche categoria: mentre si erogano vecchi e nuovi sostegni, va risolto in modo decente e accettabile il nodo dell’evasione fiscale. Chi evade non può accampare pretese, chi lavora ed è un cittadino leale merita ogni ragionevole sostegno. Ascoltare, che non vuol dire subìre pressioni insensate o retrocedere di fronte alla cruda realtà del contagio, dei decessi e delle terapie intensive ancora sopra il livello di guardia. Un’azione politica di ascolto vero delle istanze di chi è in difficoltà, in fondo deve produrre un solo effetto, quasi più psicologico che materiale: offrire possibili certezze. Magari piccole, incomplete e parziali. Ma affidabili. Una data d’inizio delle riaperture. Un calendario.

Una programmazione. Un percorso. Nuove regole con un sistema di controlli seri, nella cornice di un patto di corresponsabilità. Il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi ha il dovere, anche stimolato da chi davvero protesta per fatica e disperazione, di far fare un passo fuori dalle nuvole dell’incertezza e degli slogan di maniera. E ancora di più hanno il dovere, e la necessità, di fare questo i capipartito che lo sostengono: se la crisi del 2008 è sfociata nell’ascesa fragorosa di M5s e nella frantumazione degli equilibri della Seconda Repubblica, la crisi economica da Covid, unita alla grave crisi dei partiti, potrebbe portare sulla scena nuovi e imprevisti attori. E copioni vecchi e assolutamente inquietanti.

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