Niente magie a Baghdad
sabato 5 ottobre 2019

«Non ci sono soluzioni magiche», ha detto ai dimostranti il primo ministro iracheno Adel Abdel Mahdi, invitando alla calma e a far cessare le proteste che hanno scosso profondamente Baghdad e causato decine di vittime fra la popolazione durante gli scontri con le forze di sicurezza. Affermazione involontariamente ironica, visto che Baghdad nel nostro immaginario occidentale è sempre associata ad Aladino e al genio della lampada. Ma la verità è che ciò che sta portando nelle piazze delle principali città dell’Iraq centro-meridionale decine di migliaia di persone, per lo più arabo-sciite, è il clamoroso fallimento dei politici: dal 2003 in poi, infatti, non hanno offerto ai loro cittadini alcuna soluzione, magica o normale che fosse.

È questa la spiegazione, evidente nella sua brutale semplicità: la classe dirigente post-Saddam ha sprecato più di quindici anni, senza riuscire a dare lavoro, vita dignitosa, servizi essenziali, prospettive credibili per il futuro a una popolazione che ha pagato prezzi enormi.

Una popolazione che ha subito dapprima la lunga feroce dittatura del rais e l’embargo internazionale, poi la mal pianificata invasione anglo-americana del 2003, che doveva portare la democrazia, ma ha fatto precipitare per anni il Paese nelle violenze e nel terrorismo qaedista e dello Stato Islamico. Ancora oggi in molte zone dell’Iraq manca l’energia elettrica, l’acqua potabile né vi sono scuole e ospedali degni di una nazione che più di mille anni fa era l’eccellenza in questi campi.

E tutto ciò mentre la corruzione dei vertici amministrativi e politici è sfacciata, la loro ricchezza esibita volgarmente, le zone a essi riservate protette e curate, mentre il resto del Paese sopravvive in condizioni vergognose. Già lo scorso anno, a Bassora, la seconda città, nel cuore dell’Iraq sciita, le proteste erano esplose con una violenza inaspettata, segno di un’esasperazione che si è faticato a controllare. Con promesse mai mantenute. Dentro e fuori il Paese ci si sta chiedendo affannosamente se queste dimostrazioni siano manovrate, da chi e chi ne possa beneficiare. È evidente che esse siano nate in modo semi-spontaneo, senza un’organizzazione strutturata che le dirigesse. Ma questo non significa che non possano ora essere in qualche modo incanalate o utilizzate a livello politico interno o – ancor più – da attori esterni, che da anni usano l’Iraq come terreno di scontro "per procura".
I partiti maggiormente in difficoltà sono quelli di ispirazione sciita: un mosaico di gruppi diversi, milizie para-militari tracimate nell’arena politica, esponenti vicini al clero sciita.

Da anni si concentrano sulla difesa della propria comunità dalle minacce dell’estremismo sunnita e dei vicini arabi anti-sciiti, con una retorica che si focalizza sull’identità religiosa. Ma le narrative settarie, gli inviti all’unità della comunità di fede non servono quando i tuoi stessi correligionari ti chiedono conto della tua corruzione, della tua incapacità nel ricostruire il Paese, dei privilegi che l’élite politica si è auto-concessa senza alcuna moderazione. Tutto ciò rischia di portare al tracollo il fragile governo di coalizione del premier Mahdi, un economista apprezzato come tecnocrate, ma di fatto incapace di imporre riforme apprezzabili ai capipartito che lo hanno scelto. Un evento che non dispiacerebbe a molti dentro e fuori l’Iraq, compresi alcuni degli stessi partiti che sostengono il capo del governo. Perché il tatticismo e i doppi giochi imperano nei palazzi del potere di Baghdad. Eppure, con tutti i suoi limiti, questo governo sta cercando di ridurre la contrapposizione settaria con gli arabo-sunniti e i curdi, ha avviato dei programmi per il rientro dei milioni di profughi e cerca di proporsi come un esecutivo moderato che può mediare fra i due grandi nemici regionali, Iran e Arabia Saudita. La sua caduta porterebbe solo a una nuova fase di instabilità, sempre estremamente pericolosa in questa terra che ancora ribolle di estremismi, odi settari e tribali e di gruppi al servizio dei vicini.

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