mercoledì 23 gennaio 2019
Crescita disomogenea e poca convergenza, ma tra i cittadini dell'Unione Europea il sostegno alla moneta unica è forte. La sfida dell'integrazione
Il simbolo dell'Euro, in una scultura dell'artista Otmar Hoerl, davanti alla sede della Banca Centrale Europea a Francoforte in Germania (Ansa)

Il simbolo dell'Euro, in una scultura dell'artista Otmar Hoerl, davanti alla sede della Banca Centrale Europea a Francoforte in Germania (Ansa)

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Semmai servisse avere una conferma di cosa sono capaci i tedeschi, basterebbe pensare che dal 1989 al 1999 hanno buttato giù un muro, riunificato le Germanie, donato una moneta forte a nove milioni di poveri e avviato l’Unione monetaria che ha fatto poi nascere nel 2002 concretamente l’euro. Alcuni pensano che fosse tutto un piano per passare dal marco alla moneta unica ma questa ormai è storia. Un esercizio più utile è invece quello di prendere due Paesi fondatori come la Germania e l’Italia e capire come sono oggi a distanza di vent’anni dall’avvio dell’Ume, ascoltando le opinioni dei protagonisti ma anche la voce del popolo.

Cominciamo dai primi e da una domanda: l’euro ha portato stabilità dei prezzi? Robert Mundell, l’economista premio Nobel, scrisse sul "Wall Street Journal" che «i benefici della moneta unica deriveranno dalla trasparenza dei prezzi, dalla stabilità delle aspettative e dalla riduzione dei costi di transazione». Questi obiettivi sembrano sostanzialmente raggiunti. Mario Draghi è stato più critico. Per il presidente della Bce, l’Unione monetaria non ha ancora raggiunto i risultati voluti. L’euro è stato un successo ma «occorre riconoscere che non in tutti Paesi sono stati ottenuti i risultati che ci si attendeva, in parte per le politiche nazionali seguite, in parte per l’incompletezza dell’Unione monetaria che non ha consentito un’adeguata azione di stabilizzazione ciclica durante la crisi». Il problema è una crescita disomogenea e una mancanza di convergenza economica.

Questo argomento, dell’impatto dell’integrazione sulla società, è molto dibattuto nel nostro Paese, quando si ragiona sulle classi sociali che con l’euro si sarebbero impoverite. Romano Prodi, due volte premier e già presidente della Commissione, ha spaccato il fronte di una certa omertà accademica e sul "Sole 24 Ore" ha scritto che nel 2002 si è verificato nel nostro paese «un immediato e ingiustificato aumento dei prezzi che non riguardò soltanto il caffè al bar ma la generalità dei beni e dei servizi» e che «questo ingiustificato e fraudolento rincaro è avvenuto solo in Italia e in Grecia». L’affermazione, che conferma quanto scrissi ne "L’euro è di tutti" nel 2014, è clamorosa: per anni, dopo l’avvio della moneta unica, si discusse dell’inflazione percepita, diversa dall’inflazione rilevata e rimase netta la sensazione che con l’euro si fosse impoverita una vasta fetta di lavoratori dipendenti, a differenza di chi poté far valere le opportunità di nuovi investimenti per il proprio patrimonio, in virtù dell’abbassamento dei tassi d’interesse. Sulle cause di questa forbice le analisi divergono ancora. Sempre Prodi addebita al governo di centrodestra dell’epoca una «mancanza di controllo» nel periodo della doppia circolazione, mentre un altro autorevole protagonista come Giulio Tremonti, più volte ministro, respinge le accuse e ribadisce la convinzione che fu un grave errore non dare un «valore figurativo » alla nuova moneta, stampando una banconota da un euro, che pure sempre erano quasi 2.000 lire.

Un onesto confronto pubblico su questo tema sarebbe giusto, perché all’alba del 2019 si è finalmente aperto un dibattito ad alto livello su costi e benefici dell’euro in Italia. In questo caso, la politica ha raggiunto col fiatone la società. I cittadini europei i loro conti invece se li sono fatti da tempo. Nonostante l’acclarata mancanza di convergenza economica, l’ottimismo sulla moneta unica è diffuso in tutta l’Unione, soprattutto nei Paesi che più hanno dovuto sorbirsi la medicina dell’austerity. Circa l’85% degli irlandesi, il 64% dei portoghesi, il 62% degli spagnoli e il 60% dei greci hanno dichiarato lo scorso novembre, nel sondaggio di Eurobarometro, che l’euro è un bene per i loro Paesi. E rispetto all’anno scorso il sostegno per l’euro è cresciuto in Italia del 12%, per un totale del 57% di italiani favorevoli, 30% di contrari, 11% indecisi. Per contro, gli amanti della moneta unica calano in Francia (-5%) e in Germania (-6%), ma tornando indietro di venti anni anche nei Länder sono aumentati gli euroconvinti. Il 70% dei tedeschi oggi pensa infatti che l’euro sia un bene e il 69% degli olandesi dice lo stesso per i Paesi Bassi. Il sostegno alla moneta è particolarmente forte tra i giovani europei.

In genere si tratta di un sostegno sorprendente, proveniente da Paesi che hanno sofferto tanto per 'restare nell’euro' e che non è stato influenzato dal diffondersi di partiti sovranisti, spesso andati anche al governo. Significa che gli europei sanno anche riconoscere con la loro testa quando le cose funzionano e si mostrano anche più ottimisti degli addetti ai lavori, degli economisti e dei banchieri centrali. Soprattutto non credono a quanti affermano ancora oggi che il difetto fatale dell’euro è l’impossibilità per le economie in difficoltà di svalutare la propria moneta, considerata come via del ritorno alla prosperità. Gli elettori delle economie più fragili d’Europa comprendono che questa preclusione è invece un beneficio e non un costo. Sembrano tutti memori della lezione di Weimar. E non hanno vinto un Nobel.

Diversi sono i giudizi sulla situazione economica in questo ventesimo anno di Unione monetaria. La Fondazione Di Vittorio e la Fondazione Ebert hanno commissionato un doppio sondaggio per capire di più sugli orientamenti dei cittadini di Italia e Germania. Le prime differenze che risaltano agli occhi riguardano le congiunture familiari rispetto a un anno fa e tra 12 mesi. Se in Italia prevale un certo pessimismo e appena il 4% degli intervistati osserva un miglioramento nel corso dell’ultimo anno e solo l’8% è convinto che migliorerà prossimamente, in Germania la quota di giudizi positivi è decisamente superiore e si attesta nel primo caso al 32% e nel secondo al 34%.

Senza scomodare insigni economisti, la percezione di un’Europa a due velocità emerge quindi netta tra l’opinione pubblica di due grandi Paesi fondatori dell’Unione e profondamente in concorrenza. Se la mancanza di lavoro (68%) e le tasse troppo elevate (52%) sono i problemi maggiormente sentiti da noi, mentre l’immigrazione (50%) e le pensioni troppo basse (46%) impensieriscono i cittadini amministrati da Angela Merkel, la Ue resta comunque per tutti l’unica strada. Italiani e tedeschi sono convinti che è meglio restare nel mercato unico e nell’euro: in questo caso le percentuali sono identiche, 64%, sia tra coloro che al marco hanno sostituito la moneta comune sia tra quelli che invece in qualche caso rimpiangono la lira. Si potrebbe concludere che a dispetto della vulgata, se c’è una cosa che accomuna tutti gli europei è proprio l’euro e lo spazio comune. Sicuramente una moneta non basta e serve ancora integrazione, ma ad Est come ad Ovest non si vuole più tornare indietro.

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