Quelle manette, quelle parole. «Per Dio nessuno è straniero»
sabato 20 luglio 2019

Accade, sta accadendo in questi giorni, in un grande, potente Paese, fiero della sua democrazia. Nei quartieri degli immigrati è passata la voce: possono arrivare d’improvviso le squadre dell’Ice, Immigration and Customs Enforcement, a eseguire immediatamente 2mila ordini di espulsione di persone irregolari, voluti da Trump. Annuncio d’effetto, a galvanizzare i sostenitori del presidente (a quota 54 %). E a gettare ancora sgomento tra gli ultimi arrivati, i transfughi latinos, nei loro precari rifugi. Nel Queens, a New York, è passata la voce: non aprite, quando suonano il campanello. Le cronache di “Avvenire” hanno testimoniato di famiglie ammutolite dietro la porta, ad aspettare tremanti che gli sconosciuti se ne andassero. Possiamo immaginare mani tese sulle bocche dei bambini, perché non svelassero che qualcuno era in casa. In un grande, civile Paese.

Alcuni non ce la fanno, a tacere. Sabato un gruppo di cattolici ha manifestato in un ufficio del Senato Usa. Non urlavano: pregavano. Delle suore di sono disposte a terra, in croce, e hanno pregato per i bambini migranti alle frontiere del Messico, chiusi in gabbia, divisi dai genitori, spaventati. La più anziana era una suora di 91 anni, brandiva la foto di un piccolo migrante morto. L’hanno arrestata insieme a altri 70, poi rilasciata: occupazione di suolo pubblico. Quella foto delle religiose in abito bianco portate via con le manette ai polsi per avere pregato, guardatela bene (Leggi l'articolo sugli arresti CLICCA QUI). Ieri, sabato, era in prima pagina e oggi accompagna queste righe. Guardatela soprattutto se siete fra quanti appoggiano senza batter ciglio le politiche trumpiane, salviniane, orbaniane sulle migrazioni. È una di quelle immagini che fanno aprire gli occhi – a meno di non avere scelto di tenerli cocciutamente chiusi.

Tonache in manette, rosari pendenti dalle mani, segno tangibile di contraddizione con il pensiero sempre più dominante – da “America first!” a “Prima gli italiani!” – con slogan facili da ripetere senza capire. Lo Zeit Geist, lo spirito di questo tempo, si direbbe: povero pensiero, e povero tempo. Molti in sé non lo condividono, ma forse non lo dicono abbastanza ad alta voce. Perciò è un evento la lettera che “Avvenire” ha pubblicato domenica scorsa, e che in questi giorni ha raccolto centinaia di adesioni (ne diamo conto sul nostro sito: CLICCA QUI). Decine e decine di comunità monastiche femminili italiane hanno scritto al presidente Mattarella, e agli italiani, un messaggio che scuote le coscienze. Esprimono «preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti dei migranti e rifugiati».

Vogliono essere la voce «degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro Paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna». Pregano: che l’Italia tuteli anche la vita dei migranti.

Un moto silenzioso, quasi carsico, ma lucido e determinato. Un altro sguardo, per ora, certo, minoritario. Che riecheggia però la recente netta parola del Papa in San Pietro: «Per Dio, nessuno è straniero». E riecheggia nella mente anche, ascoltando queste voci femminili che stonano nel triste Zeist Geist del 2019 (noi, studenti degli anni ‘70 che studiavamo la storia a scuola, non ci avremmo potuto credere), una frase che decifra il senso di questa profonda alleanza femminile: «La donna cerca naturalmente di abbracciare ciò che è vivente, personale, integro. Curare, custodire, proteggere, nutrire e favorire la crescita è il suo anelito naturale, materno». Parole di Edith Stein, suor Teresa Benedetta della Croce, morta a Auschwitz, eletta da san Giovanni Paolo II compatrona di questa nostra Europa.

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