venerdì 10 giugno 2022
Domenica si vota Oltralpe e a tenere banco è il tema del tempo. Quante ore della vita vogliamo dedicare al lavoro?
La coalizione «Ensemble» di Macron e la «Nupes» di Mélenchon si fronteggiano sulla possibilità di rivedere il limite delle 35 ore, le settimane di ferie e l’età della pensione

La coalizione «Ensemble» di Macron e la «Nupes» di Mélenchon si fronteggiano sulla possibilità di rivedere il limite delle 35 ore, le settimane di ferie e l’età della pensione - Reuters

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Potrebbe giocarsi sulla questione del tempo di lavoro la partita per il prossimo governo francese. Quante ore della vita vogliamo dedicare al lavoro? Più ore, dice la coalizione Ensemble, del presidente Emmanuel Macron. Meno ore, dice la Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale, la Nupes, del socialista Jean-Luc Mélenchon. La contesa è rilevante perché se la Nupes alle elezioni di domenica 12 giugno conquistasse la maggioranza parlamentare, formerebbe un governo che dovrebbe 'coabitare' con il Presidente Emmanuel Macron. Le due coalizioni si frontaggiano attorno a una diversa ripartizione del tempo tra lavoro e non-lavoro. La Nupes vuole il limite legale della settimana lavorativa a 35 ore (e in futuro a 32), una settimana addizionale di ferie pagate (la sesta) e l’età minima per il pensionamento a 60 anni (ora 62). Ensemble, invece, vuole la rinuncia al limite attuale (benché in parte disatteso) di 35 ore, nessun aumento delle ferie, e il pensionamento a 65 anni.

Precisiamo. Il non-lavoro non è l’ozio, ma è il tempo per le attività non monetizzate: la cura di sé, la famiglia, gli amici, la cultura, l’istruzione, l’arte, la partecipazione politica e sindacale, la religione, lo sport, il gioco, il riposo e molto altro. Per lavoro, inoltre, si intende solo il lavoro salariato (benché ai suoi ritmi si conformi anche il lavoro indipendente). Per lavoro, infine, si intende sia la produzione materiale sia la 'produzione' di servizi. Per fare un esempio, il lavoro di costruire un pianoforte e il lavoro di insegnare il pianoforte. Sulla miglior proporzione tra tempo di lavoro e di non-lavoro si confrontano due visioni del mondo. La prima dà più importanza a una maggiore produzione di beni economici, la seconda a una maggiore cura dei beni naturali e di quelli sociali. Lo slogan 'Lavorare di più per guadagnare di più' (Sarkozy, 2007) esprime la prima visione. Lo slogan della Nupes 'Un altro mondo è ancora possibile' esprime la seconda.

Parliamo quindi di una posta di civiltà sui tempi lunghi, non di una posta strettamente economica sui tempi brevi. La parte di ore di lavoro in una intera vita attiva (escluso il sonno) è passata dall’80%, nel 1840, a meno del 10% ai giorni nostri. Questo progresso, che ha contribuito a più che raddoppiare la durata della vita e a migliorarne enormemente la qualità, è stato merito non solo delle innovazioni tecniche ma anche di due secoli di lotte dei movimenti e dei partiti popolari. Da metà Ottocento ad oggi le leggi francesi hanno fatto passare il numero legale delle ore quotidiane di lavoro da 14 a 8. Quello delle ore di lavoro settimanali, da 80 a 35. I giorni lavorativi per settimana, da sette a cinque. Il tempo di ferie pagate, da zero a cinque settimane. A ogni passo di questo progresso, i politici e i giornalisti dei ceti benestanti hanno pronosticato la rovina economica. In modo meno drammatico, lo fanno ancora oggi quando si propone di aumentare il tempo di non-lavoro.


Sulla gestione del tempo si confrontano due visioni del mondo La prima dà più importanza alla produzione di beni economici, la seconda alla cura dei beni naturali e di quelli sociali

In molti studi, inoltre, si cerca vanamente una relazione tra la dinamica dei parametri del lavoro/non-lavoro (ossia: settimana lavorativa, ferie, pensionamento, istruzione) e i soli indicatori pecuniari: produttività, competitività, costo del lavoro, reddito per addetto, reddito nazionale, tasso di occupazione. Si tace però l’indicatore più importante, ossia quello che riguarda il vero motivo della riduzione del tempo di lavoro: la variazione della qualità e della durata della vita al variare del tempo complessivo di lavoro.

Prendiamo il caso delle 35 ore, che per la quarta volta in cinquant’anni (1972, 1981, 1998, 2022) è tornato alla ribalta della politica francese. È difficile appurare il numero di ore di lavoro svolte davvero dalle persone in Francia. Di fatto, solo un terzo dei dipendenti, specialmente nella funzione pubblica, lavora davvero 35 ore alla settimana. Dal 1998 in poi la normativa fu gradualmente calibrata per alcuni settori e per le aziende più piccole. Molte di queste trasgrediscono la legge senza essere sanzionate. Infine, con il Presidente Sarkozy (2007-2012) furono varate leggi per incoraggiare il ricorso alle ore straordinarie esentandole da oneri fiscali e previdenziali. 'Lavorare di più per guadagnare di più' era il suo motto. Nessun governo però ha osato abrogare la ormai consolidata legislazione delle 35 ore, perché è molto popolare e fa ormai parte del patrimonio sociale del paese. All’atto pratico, la riforma delle 35 ore si è tradotta in una reale diminuzione del lavoro salariato individuale, ma in cambio di un aumento della sua flessibilità e spesso della sua intensità. Nei casi migliori questi due aumenti sono stati concertati con vantaggio di lavoratori e imprenditori. In alcune aziende si è perfino scesi ad una pratica di 32 ore alla settimana. In altri casi c’è stato malcontento. Gli effetti delle 35 ore sugli indicatori economici sono invece controversi, anche perché questi sono influenzati da così tante variabili da rendere vano il tentativo attribuire alla sola norma una specifica influenza.


Da metà ’800 il numero legale delle ore quotidiane di lavoro è sceso da 14 a 8. Quello delle ore settimanali, da 80 a 35

Sulla breve scadenza gli effetti reali di una legge di riduzione del tempo di lavoro dipendono dai meccanismi con i quali è calibrata. In una prospettiva storica più ampia, però, il parametro che meglio riassume il divenire del 'tempo sociale' è il numero di ore di lavoro salariato in una vita, come indicava il libro 'Les 40.000 heures' (Le 40mila ore) del grande economista Jean Fourastié, pubblicato nel 1965 e ristampato nel 2007. Quelle 40mila ore di lavoro in media per persona che egli prevedeva entro l’anno 2000 corrispondono circa a una settimana di lavoro di 32 ore e alle 1.200 ore all’anno lavorate in Olanda, ossia molte meno ore di quelle lavorate attualmente nei paesi industriali (tra le 1.600 e le 1.900). Fourastié però sbagliò profetizzando nel 1965 per l’anno 2000 quasi un dimezzamento del tempo di lavoro in una vita grazie all’effetto del solo progresso tecnico. Egli riteneva, infatti, che la media di 40mila ore di lavoro individuale sarebbe stata raggiunta per primi dagli Stati Uniti. Sessant’anni dopo, invece, gli Stati Uniti sono uno dei paesi ricchi dove si lavora di più. Il progresso tecnico è stato molto forte, ma la loro regolazione del tempo di lavoro è molto debole.

Ormai noi, la metà più benestante delle persone nella società del superfluo, non manchiamo di niente. Ma manchiamo dolorosamente di tempo. Tutto sommato, essere l’uno per cento più fortunato tra otto miliardi di umani ci basta. Anche se per la Nupes 'un altro mondo è ancora possibile', più della metà degli elettori non vuole 'un altro mondo'. Gli andrebbe bene questo. Se solo avessero il tempo per goderlo...

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