Ma già la storia giudica Sarkozy
venerdì 23 marzo 2018

Ufficialmente incriminato per corruzione, finanziamenti illeciti alla campagna elettorale e per l’occultamento di fondi pubblici provenienti dalla Libia, Nicholas Sarkozy sta attraversando l’ora verosimilmente più buia della sua esistenza, visto che il cumulo di reati per i quali è sotto indagine si assomma alla gioia malevola di chi lo ha già pregiudizialmente condannato.

Intendiamoci, la Francia non è nuova a certi scandali. Da quelli di piccolo calibro, come la moglie del candidato Fillon che intascò 500mila euro per un finto impiego di assistente parlamentare a quello ben più eclatante che vide l’autoproclamato imperatore della Repubblica Centrafricana Jean-Bedel Bokassa cingersi personalmente il capo con una corona d’oro massiccio tempestata da 5.000 diamanti, un non piccolo lotto dei quali fu donato all’allora presidente francese Giscard D’Estaing, che li accettò di buon grado, nonostante il dittatoreimperatore (si dice anche fosse cannibale) avesse fatto massacrare a bastonate oltre un centinaio di bambini. Certo, pecunia non olet, come riconosceva Svetonio, soprattutto quando ci sono di mezzo i costi della politica.

Ma non è della vicenda dei fondi illeciti e della disinvoltura con cui Sarkozy potrebbe aver beneficiato del denaro fornitogli dai vari mezzani libici di cui ci preme parlare. Bensì del sospetto ben più grave che aleggia attorno all’ex inquilino dell’Eliseo: quello di aver sostanzialmente scatenato la campagna di Libia del 2011 anche (o forse prevalentemente) per regolare i conti con una liaison divenuta imbarazzante sotto ogni punto di vista. Perché imbarazzante? Perché dietro al deposto e defunto rais libico c’era un vortice di denaro, un fiume di petrolio e una scia deprecabile di sangue, (a lungo Gheddafi è stato considerato il campione e il maggior finanziatore del terrorismo internazionale), di diritti dell’uomo calpestati in nome della Jamahiriya. Ma i suoi petrodollari, in epoche di austerity, di choc petroliferi, di sanguinose guerre mediorientali facevano comodo a tutti. Alla stessa Fiat, per esempio, che a suo tempo accettò la Libia come socio, per non dire della Francia, che riservò al Colonnello onori e laudi come al più virtuoso dei partner internazionali. È la logica della raison d’État, si dirà, o del cinismo della diplomazia, se preferite.

Anche noi italiani, a ben vedere, ci siamo dovuti sottomettere. Ma la rottura che si era consumata fra Parigi e Tripoli all’inizio della guerra civile fra la Cirenaica e la Tripolitania nel 2011 produsse un effetto non più solo riconducibile agli interessi personali di Sarkozy e della Francia, ma a tutto il Mediterraneo, alla Nato, ai Paesi e alleati e non solo a quelli. I Rafale e i Mirage di Sarkozy furono i primi a intervenire quel 19 marzo.

Gli alleati – chi più, chi meno convinto – si accodarono. Non pochi paventavano quali sarebbero state le conseguenze di una 'primavera libica' eterodiretta: il caos, si diceva, e chi lo prefigurò con lucidità fin dall’inizio non venne ascoltato. I francesi soprattutto puntavano a un bersaglio ben preciso: il colonnello Gheddafi. Era lui la cible, la preda. Che alla fine venne raggiunto il 20 ottobre alle porte di Sirte, e ucciso sul posto, senza processo, senza un’imputazione degna di uno Stato di diritto. Lo scomodo amico dell’Eliseo taceva per sempre. La 'brillante operazione militare' voluta da Sarkozy (' «Una totale follia», come sentenziò Romano Prodi) lasciava in eredità un Paese totalmente disgregato cui è seguita una catastrofe umanitaria seconda solo a quella siriana.

Non possiamo affermare che tutto ciò fosse mosso dal solo desiderio di eliminare Gheddafi e coprire le tracce di una relazione troppo pericolosa. C’era certamente altro, non ultimi gli interessi della Total-Fina, desiderosa di agguantare i ricchi appalti petroliferi del dopo-Gheddafi (ma dietro di lei facevano la fila anche Shell, British Petroleum Exxon, Mobil, Chevron e Occidental Petroleum) e soprattutto, come si disse a Parigi, «fare saltare il fortino dell’Eni», presente dagli anni Cinquanta sul suolo libico.

Attorno a Sarkozy si chiude il cerchio su una vicenda nei suoi tratti fondamentali ampiamente nota, che ha visto il presidente francese prevaricare in totale solitudine la volontà degli alleati attuando un’operazione militare mascherata da intervento umanitario, le cui conseguenze sono sotto gli occhi di ciascuno di noi e il cui fardello più pesante è poi ricaduto sulle spalle dell’Italia. Sarà la magistratura a stabilire le eventuali responsabilità penali dell’ex presidente, ma il suo profilo – politico, ma anche morale – è già drammaticamente più che compromesso.

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