Ma arrendersi non è l'opzione
mercoledì 1 settembre 2021

«Arrendersi non è un’opzione», una frase fulminante e bellissima, credibile se pronunciata da Carlotta Gilli, fresca medaglia d’oro ai Giochi paralimpici e affetta della Malattia di Stargardt (forma di distrofia ereditaria della macula) che le ha ridotto a un decimo la vista.
Noi economisti civili lo diciamo da tempo. Dobbiamo affrontare la vita come nei popolari giochi di carte che tutti conosciamo: scopa, briscola, tressette...

Non siamo noi a dare le carte, e quando le riceviamo sappiamo che dobbiamo fare il nostro gioco nel modo migliore possibile. Come dicono anche i dati empirici il segreto della felicità, per una vita soddisfacente e ricca di senso è lo spirito dell’atleta paralimpico. Che non è paralizzato dal dolore per il proprio limite e vincolo, ma fa leva su quel limite per lanciarsi in avanti e darsi l’obiettivo di fare il massimo possibile ritagliandosi una sfida adatta alla propria situazione.
Si tratta di qualcosa di più che semplicemente abbassare l’asticella delle aspettative per evitare che esse siano frustranti e irrealizzabili come la volpe verso l’uva nella famosa favola di Esopo.
L’atleta paralimpico abbina infatti all’abbassamento dell’asticella l’orientamento di energie ed espressività verso un fine e un traguardo difficile ma raggiungibile e proporzionale alle sue capacità.
Gli atleti paralimpici non sono degli sfortunati che noi 'sani' possiamo compatire e osservare con la soddisfazione di essere diversi. Nella vita siamo tutti atleti paralimpici perché con il passare degli anni gli ostacoli e i limiti sono destinati ad aumentare progressivamente. Se per un ragazzo nelle gare scolastiche la sfida è il tempo di una corsa campestre per un novantenne è terminare il giro del palazzo ogni giorno per tenersi in forma sotto braccio a un o a una badante (anche se non mancano storie da Guinness dei primati come l’ottantenne giapponese che ancora fa triathlon o una mia amica personale, novantaquattrenne, che ancora sale sul windsurf).

Il progresso medico straordinario dei nostri giorni ci pone di fronte a sfide nuove e inedite sul tema. Nella generazione precedente alla nostra il passaggio dalla vita adulta alla vecchiaia era brusco e la vecchiaia più breve. Oggi la potenza delle cure ha, sì, aumentato l’aspettativa media di vita in buona salute, ma ha anche accresciuto significativamente gli anni di vita media in cui la popolazione è affetta da patologie gravi. E la domanda su cosa è la vita quando non siamo nel pieno delle nostre forze e della nostra vitalità diventa una domanda sempre più pressante ed emergente, che ci interroga direttamente o indirettamente.

Essa ci assedia di fronte alle difficoltà di salute di amici, parenti e familiari e apre tutto il dibattito sul fine vita tra eutanasia e accanimento che non a caso oggi è all’ordine del giorno. Senza voler qui, oggi, dirimere la questione dal punto di vista legislativo o politico sottolineiamo solo come lo spirito dell’atleta paralimpico ci dà una bella carica su come affrontare personalmente ed esistenzialmente la questione. Dopo l’abbuffata di medaglie alle Olimpiadi di Tokyo, che ci ha dato molte soddisfazioni, le Paralimpiadi tendono a essere meno seguite e coperte dai media anche se sono quelle che ci trasmettono messaggi ed emozioni ancora più forti ed importanti.

Bellissima anche la lezione della costruzione di discipline sportive che eliminano il fossato delle diseguaglianze di condizioni fisiche e di salute creando competizioni tra eguali oppure, come nell’idea geniale del baskin, costruiscono squadre di diversamente abili creando tra di loro spirito di appartenenza. Squadre che si affrontano in partite di pallacanestro dove competono tra loro solo persone con livelli di abilità/disabilità simili. Lo sport, si dice, è una bella metafora della vita che trasforma il conflitto bellico in competizione con regole, e fa capire che con sacrifici e impegno è possibile dare pienezza alla nostra 'libertà per' e alla 'libertà da' anche ponendo limiti a quella 'libertà di' fare qualcosa che un sottoprodotto della cultura contemporanea considera l’unica possibile. Lo sport paralimpico è una metafora ancora più bella e pura dello sport agonistico dei 'sani'. Tutti i media ci raccontino per davvero queste storie. E noi mettiamoci in ascolto.

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