Ma sinceri si può tornare
sabato 30 maggio 2020

Tyr ha perduto la sua mano destra nel corso di un giuramento, quello menzognero prestato ad un lupo per persuaderlo a farsi legare. A Roma la mutilazione di Scevola è spiegabile in relazione alla mutilazione di Tyr
D. Briquel, Sul buon uso del comparativismo europeo in materia di religione romana

L’uomo è l’unico essere capace di menzogna. Né gli animali né Dio possono mentire, se si eccettuano le piccole bugie dette (forse) da alcune scimmie. La sincerità di un cane ci attrae e seduce perché sappiamo che non è come la nostra. Perché sappiamo che gli effetti delle nostre parole e gesti dipendono radicalmente da qualcosa di tipicamente umano: la verità. La possibilità di parole senza verità è qualcosa di talmente umano che non la possiede neanche Dio. È questo uno dei paradossi dell’umanesimo biblico (e in genere di molte religioni): la menzogna è qualcosa che l’uomo possiede e Dio no. Un "di meno" che diventa una specie di "di più". L’uomo, in tutto inferiore agli Elohim, può diventare loro "superiore" nelle sue cose più basse – menzogna, cattiveria, male. Dio non sa mentire, l’uomo e la donna sì. Sta anche qui la forza seducente del peccato: non pecchiamo solo "per essere immortali come Elohim", come disse il serpente alla donna; pecchiamo anche perché siamo attratti e illusi dal poter essere più di Dio, facendo qualcosa che Lui non può fare, perché se lo facesse sarebbe Dio a diventare come noi. Questo bizzarro primato antropologico contiene allora anche una dimensione di bellezza: la possibilità della menzogna dona alla sincerità umana una dignità altissima. Ci ha fatto "poco meno di sé" (Salmo 8), e nella sincerità ci ha fatto, paradossalmente, "più di sé".

Le civiltà hanno sempre avuto molta paura della menzogna. Ne conoscono il potere distruttivo nelle comunità, nelle famiglie, nelle società intere. La temono come il male più grande, forte e grande come la parola. La Bibbia, che vive di parole, di parole divine rivelate con parole umane, di un Dio che parla con le stesse nostre parole, è particolarmente vulnerabile ed esposta alla parola bugiarda. Tanto che i momenti spiritualmente ed eticamente più alti del Nuovo e dell’Antico Testamento sono eventi creati da parole vere (l’Alleanza, i profeti, l’Incarnazione) ma anche da parole false (Caino, Giacobbe, Pietro). La Bibbia ha il terrore della menzogna, perché la colpisce esattamente nel cuore del suo mistero. La sua vita è tutta parola, e così può essere ferita quando la parola perde verità. La parola è la protagonista del Salmo 15: «Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sulla tua santa montagna? Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore» (15,1-2).

Dice la verità che ha nel cuore. Il cuore può contenere una verità che non diventa parole. La sincerità sta nell’intonare il contenuto delle parole con quello del cuore. Non esistono bugie in buona fede. La sincerità ci fa entrare pellegrini e ospiti nella tenda del Signore. La sincerità del cuore è l’entrata laterale del tempio, quella da cui possiamo entrare anche noi, peccatori in compagnia del pubblicano (Lc 18,9-14), e come lui poter pregare, essere capiti e ascoltati. Se non ci fosse questa porta secondaria, la tenda del Signore sarebbe dimora dei soli giusti, e resterebbe priva di persone bellissime anche se peccatrici: i sinceri.
La menzogna assume molte forme. Una particolarmente perniciosa è la calunnia: «Non sparge calunnie con la sua lingua, non fa danno al suo prossimo e non lancia insulti al suo vicino» (15,3). Poche cose come la calunnia mostrano la capacità performativa della parola e delle parole: anche la calunnia crea la realtà dicendola, cambia il mondo parlando. È una parola perversa che crea il male e il buio mentre li dice. È creazione demoniaca, che ci ricorda che Dio e il bene non sono i soli padroni della parola. Parliamo per benedire e parliamo per maledire, e la possibilità meravigliosa di fare migliori le persone con le nostre benedizioni (ed essere fatti migliori dalle parole buone degli altri) è bilanciata dall’esperienza di essere peggiorati dalle parole cattive e peggiorare gli altri male-dicendoli. Ma mentre la gratuità si snatura se usata male, la parola è incapace di resistere al suo abuso. È meno potente in questo della debole gratuità, che non è Dio ma è dotata di un dispositivo che la protegge dalla manipolazione. E invece anche Satana parla, anche i demoni usano la parola per provare a cambiare il mondo, e spesso ci riescono. Anche la magia è faccenda di parole, anche la bestemmia è parola.

Legandosi alle parole Dio ha deciso di condividerne la loro forza insieme alla loro fragilità. Quando, con infinita gioia e gratitudine, abbiamo voluto scrivere che "La parola si è fatta carne", abbiamo scoperto che la parola era divenuta vulnerabile e fragile come la carne di un bambino, e poi ferita, umiliata, parola crocifissa, urlo di abbandono, parola risorta con le piaghe. Il Salmo giunge poi a uno degli usi più antichi, controversi e importanti della parola: il giuramento: «Anche se ha giurato a proprio danno, mantiene la parola» (14,4). È subito svelata la natura del giuramento, uno strumento a servizio della verità della parola, un ausilio dell’avveramento delle nostre promesse.

Abbiamo inventato i giuramenti perché abbiamo imparato a conoscere la potenza degli spergiuri, abbiamo conosciuto il dolore infinito dei patti infranti, delle comunità, delle famiglie, delle città distrutte da parole false e vuote, i disastri operati dalle bugie, da chi preferisce gli interessi falsi alle verità delle parole proprie e degli altri. La parola è l’anima della fiducia, di quella corda che lega le persone e le comunità, su cui si regge l’intero edificio sociale - a Roma il dio dei giuramenti si chiamava Dius Fidius, profondamente legato alla fides-fiducia. Se perdiamo contatto con la verità delle parole, negli inverni camminiamo su un ghiaccio troppo sottile per sostenere il peso dei nostri passi. Ogni promessa si fonda sulla fede in una parola, sulla speranza che sotto quel fiato ci sia qualcosa di serio, qualcosa di bello, qualcosa di più; "qualcosa" per il quale non abbiamo trovato parola migliore di verità. Se non credessimo, sperassimo e amassimo questa possibilità vera non pronunceremmo nessun "per sempre", non diremmo nessun "ti voglio bene", "perdonami", "scusami", e non crederemmo a quelli degli altri.

Ma questa urgenza di parole vere si scontra con l’evidenza, millenaria, della fragilità della parola nostra e degli altri, con l’incapacità di mantener fede alla parola data quando aumentano i costi della fedeltà e della lealtà. Ecco allora che gli uomini hanno inventato strumenti per rafforzare le parole e quindi i patti. Hanno aggiunto gesti (es. la stretta di mano), testimoni, cose (sale o selci gettati per terra durante i patti), e soprattutto hanno inserito le parole all’interno di liturgie religiose. Abbiamo scritto i nostri patti e le nostre promesse e poi li abbiamo posti sugli altari, abbiamo promesso di dire la verità mettendo la mano sul cuore o sopra la Bibbia, sperando che la loro verità (della Bibbia e del cuore) desse forza alle nostre parole.
Il giuramento è una sorta di contratto con le nostre parole, impegnandoci con altre parole a pagare un costo in caso di tradimento delle parole che noi stessi stiamo pronunciando. Chiediamo a nostre parole diverse di venire in aiuto alle nostre parole ordinarie che sappiamo essere più deboli della nostra sincerità. "Lo giuro sui miei figli", è un’espressione antica rimasta nel nostro linguaggio. La forza massima del giuramento si raggiungeva quando si pronunciava: "lo giuro su Dio", associando la divinità come garanzia della verità delle nostre parole. Giurando chiamiamo oggi parole più grandi perché domani possano salvare le nostre parole di ieri dalla loro fragilità. È l’umiltà la radice dei giuramenti.

Nonostante la critica ai giuramenti che troviamo nei Vangeli – motivata da un uso formale e vuoto di quello strumento molto presente nella Bibbia ebraica, che finiva per indebolire la forza delle parole umane e dell’invocazione di Dio –, la Chiesa e l’Occidente hanno continuato a ricorrere ai giuramenti per rinforzare le nostre parole. Poi la secolarizzazione della cultura ha portato con sé un progressivo abbandono dei giuramenti, e ci siamo ritrovati con parole sempre più deboli, con promesse e patti sempre più fragili, nell’illusione che le ipoteche e le fideiussioni potessero bastare per sostenere le nostre parole deboli. Non mi stupisce che il salmo 15 termini con l’economia: «Non presta il suo denaro a usura ed è incorruttibile da qualsiasi dono a danno dell’innocente» (15,5).

L’usura, ma anche la manifestazione di potere e desideri di controllo mascherati da doni, i regali che catturano chi li accetta dentro rapporti perversi, le tangenti e la corruzione, sono, prima di ogni altra cosa, parole senza verità. Prima di essere transazioni economiche cattive sono parole finte. Dietro questi contratti e atti economici sbagliati si nascondono discorsi falsi, parole che hanno perso ogni contatto con la verità. L’usura è una promessa perversa, perché a un figlio che chiede un uovo si dà uno scorpione (Lc 11,12).
Facciamo rinascere imprese, associazioni, contratti, rapporti di lavoro, ogni volta che ritroviamo un aggancio con la verità nascosta dentro le parole che ci diciamo. Usciremo dalla crisi che stiamo vivendo, che è stata ed è anche una crisi di parole e di promesse, non solo trovando il vaccino per il coronavirus: ci servirà anche una nuova verità delle parole. I grandi dolori possono generare una nuova sincerità.

Siamo belli in molte cose, ma siamo bellissimi quando abbiamo tutti gli incentivi e gli interessi per dire una bugia e invece diciamo la verità. La scelta della costosa verità quando la menzogna ci è disponibile a costo zero (o con un profitto), rende la verità più vera, più bella, divina. Perché se solo gli uomini e le donne possono essere bugiardi, allora solo le donne e gli uomini possono essere sinceri. Nell’Eden, Adam era innocente, ma divenne sincero solo dopo la cacciata, quando persa l’innocenza e conosciuto il prezzo della bugia, imparò il valore della sincerità – e noi lo abbiamo imparato insieme a lui. Sincero: un aggettivo bellissimo, tutto per noi, il cui valore deriva da tutte le bugie che abbiamo detto e un giorno abbiamo smesso di dire, da quelle che potevamo dire e non abbiamo detto.


l.bruni@lumsa.it




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