La sentenza greca su Alba Dorata
giovedì 8 ottobre 2020

Nel film di Costa-Gavras 'Z, l’orgia del potere' si adombra la spedizione punitiva che nel maggio del 1963 colpì a morte a Salonicco l’ex partigiano e deputato dell’opposizione Grigoris Lambrakis, uno dei più tenaci oppositori del governo Karamanlis. Lambrakis fu aggredito da due estremisti di destra successivamente fuggiti a bordo di un furgoncino sotto gli occhi della polizia, che nulla fece per inseguirli e nemmeno per prestare aiuto al deputato. Il quale morì cinque giorni dopo per le lesioni cerebrali subite.

L’ondata emotiva che percorse il Paese fu immensa, ma il premier – che peraltro non aveva alcuna responsabilità dell’accaduto, se non quella di non avere il controllo delle forze dell’ordine – si limitò a dire: «Questi incidenti possono verificarsi nella maggior parte dei paesi democratici senza che il governo sia ritenuto responsabile».

Quattro anni dopo, spinti da una destra sempre meno popolare ma sempre più impaurita, i colonnelli presero il potere. Ciò che sta accadendo in queste ore in Grecia dopo la sentenza d’appello che ha condannato il militante di Alba Dorata Yorgos Roupakias per l’omicidio del rapper Pavlos Fyssas, ucciso sette anni fa da una coltellata ad Atene per la sua attività di antifascista assomiglia in qualche modo al caso Lambrakis. E non soltanto per l’appartenenza dell’assassino al movimento nazionalista euroscettico e xenofobo Chrysí Avgí, ma per il fatto che sotto accusa è l’intero partito e il suo fondatore, il sessantaduenne Nikos Michaloliakos, in quanto «leader di un’organizzazione criminale».

Roupakias rischia l’ergastolo, Michaloliakos almeno dieci anni. Alba Dorata, che al suo esordio nel 2012 aveva conquistato 12 deputati ed era salita fino a 21, per poi precipitare allo zero assoluto delle politiche dello scorso anno, non è mai stato un movimento di anime belle. Il suo fondatore è un negazionista della Shoah e un ammiratore del nazismo, e molti dei militanti hanno una fedina penale ricca di condanne con capi d’imputazione che vanno dalla costituzione di gruppo criminale all’associazione a delinquere, dalla xenofobia alla violenza privata, condotta da veri e propri gruppi d’assalto paramilitari responsabili di centinaia di episodi ai danni di rifugiati e migranti. Il simbolo stesso del partito, un frammento di meandro in campo rosso, l’attorcigliata decorazione che noi chiamiamo 'greca' e che stilizza il labirinto di Cnosso, richiama senza mezzi termini la 'svastika' sanscrita, ma nessuno s’inganna sull’esplicito riferimento al simbolo nazionalsocialista.

'E xos oì xenòi', fuori gli stranieri, è stato per anni lo slogan vincente del partito che esaltava i 'greci puri' disprezzando i 'meteci' e che ha soffiato abbondantemente sulla paura e l’insicurezza causate dalla grande crisi che ha impoverito e azzoppato la Grecia estinguendone valori, legami, solidarietà, lealtà e sogni, sostituendoli con una rancorosa incertezza del futuro. Nel megaprocesso di ieri erano imputati oltre a 18 ex parlamentari numerosi fra funzionari e agenti di polizia. È dai tardi anni Novanta che si sospetta – il più delle volte a ragione – che elementi neofascisti fossero presenti in gran numero fra i ranghi delle forze dell’ordine. Fenomeno che si è ingrossato, grazie anche ad Alba Dorata, nei successivi vent’anni.

Dentro la sentenza di Atene forse c’è anche questo: un processo a una stagione di intolleranza criminosa che ha assunto – forse con un puntiglio e un’acribia degli inquirenti un po’ forzati – i contorni di un intero movimento. Che tuttavia ha lasciato ben poco di intentato per accreditarsi per ciò che in effetti era: una febbre maligna della democrazia. Una folla di migliaia di persone appartenenti a tutti i partiti ha accolto in piazza la sentenza come una sorta di lavacro liberatore. E non c’è da stupirsene. Alba Dorata è per tutti un salutare capro espiatorio. Di colpe che appartengono non solo ai nazi-xenofobi, ma indirettamente a tutti gli schieramenti politici, e soprattutto ai due principali partiti che si sono contesi il potere durante i dieci anni di crisi, Nea Demokratia e Syriza. Se Alba Dorata è esistita e ha compiuto misfatti, lo si deva anche ai loro errori.

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