martedì 4 ottobre 2016
Il professore di Filosofia teoretica spiega le criticità della riforma e difende la vecchia Costituzione.
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Questa riforma non migliora il testo. Percorso da ricominciare Caro direttore, questa estate, al Meeting di Rimini, ho visto una bella mostra sui settant’anni della Repubblica. Meriterebbe di girare le scuole. Perché vi si apprenderebbe come si fa una Costituzione. Lo spirito unitivo da cui germina, sul terreno costituzionale, tutto ciò che resta e feconda una società e le sue istituzioni. E sì che quella Costituzione – che è ancora la nostra – nasceva dalla necessità, tragica, di una rottura con un passato indifendibile, il fascismo. Il bisogno di 'rottamazione' di oggi è poca cosa. Ma anche quella rottura – dovuta necessità storica e morale – non perdeva di vista, con l’amnistia di Togliatti, tutti gli italiani. Recuperando alla Repubblica, e ai tempi nuovi, anche quelli che fino all’ultimo erano stati dall’altra parte, non limitandosi a traghettare nel nuovo i tanti che il nuovo l’avevano atteso tra l’acquiescenza e un prudente silenzio.

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COSTITUZIONE, QUATTRO BUONI MOTIVI PER DIRE SI' (Vannino Chiti)

Il punto fermo della rappresentatività democratica del potere doveva essere il futuro di tutti. E questo punto fermo era anche ciò che si mediava nelle diverse, e su alcuni punti opposte, visioni del futuro del Paese che le culture – cattolica, socialista, liberale – che costruivano la Repubblica pur avevano. Più 'rottura' e insieme più spirito 'unitivo' di questo non si poteva dare. E a questo Paese, in un frangente decisivo, fu dato. Francamente, uscito da quella mostra, ho avuto confermato il giudizio che questa fortuna unitiva non l’abbiamo avuta con la riforma costituzionale al voto il prossimo 4 dicembre 2016. Anzi non l’abbiamo neanche cercata.

Una proposta di riforma al Paese, ben un terzo della Carta, presentata con un unico 'pacchetto', confuso persino a leggersi, su cui chiedere Sì o No è – a mio parere – persino andare contro la deontologia del quesito referendario, che dovrebbe essere semplice e perspicuo a tutti, non solo a costituzionalisti.

Pacchetto in cui con qualche cosa buona – una qualche controriforma della sbagliata riforma del Titolo V – si mischia una pasticciata riforma del bicameralismo, che lo fa confuso e forse peggio funzionante dell’attuale, un depotenziamento della capacità rappresentativa – grazie anche alla legge elettorale, l’Italicum – di tutte le maggioranze che servono a eleggere istituzioni e organi costituzionali, un Senato che deriva, nella sua composizione, dal più delegittimato ceto politico in circolazione, quello regionale.

Se approvata, l’esito finale proposto sarebbe un governo del premier di fatto 'presidenziale', giusto per non avere i contrappesi sostanziali a prevedersi in una vera riforma in chiave presidenziale: una sorta di politica istituzionale delle 'mani libere' del premier, una volta eletto e insediato, per smuovere finalmente un Paese 'bloccato'. Questa è la reale partita politica che si gioca. La logica è purtroppo quella del 'Sindaco d’Italia', un approccio che nei Comuni ha dato il meglio, talora, di sé, ma spesso il peggio. Il guaio è che un sindaco sbagliato e poco rappresentativo se lo può permettere una città: un sistema a più livelli di governo ancora lo regge.

Ma un Sindaco d’Italia a basso tasso di rappresentatività popolare e per giunta sbagliato il Paese non può rischiarlo, perché non ci sarebbe correzione sistemica possibile. Tutto questo è il frutto avvelenato della 'narrazione' con cui è cominciata la riforma: 'Prima di me la palude, dopo di me il diluvio'. Un approccio è politicamente pericoloso. Perché quello che una riforma costituzionale dovrebbe proporre è una qualità degli istituti repubblicani tale da difendere il Paese persino dagli inquilini sbagliati che possono pro tempore abitarli.

Nessuna riforma sceglie il governante migliore, questo lo fanno le elezioni. Ma una buona riforma mette un limite ai danni che può fare il governante peggiore. Insomma, buone istituzioni sono un freno ai danni della cattiva politica. E se siamo arrivati fin qui, nonostante la tanta cattiva politica vista, è perché la nostra Costituzione è buona. Possiamo votare No senza drammi. Riprendendo immediatamente dopo, con spirito unitario, il filo di un discorso che merita più ponderazione.

*Ordinario di Filosofia teoretica, Università Federico II e componente dell’Assemblea nazionale del Pd

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