L'instabilità politica di un Paese normale
martedì 26 settembre 2017

Da ieri la Germania ha perduto più di un primato. E non soltanto per l’imbarazzante ingresso al Bundestag – per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale – di oltre novanta deputati appartenenti alla formazione dell’estrema destra xenofoba Alternative für Deutschland (Afd), né per il drastico risultato della Spd, naufragata con quel 20,5% al proprio minimo storico, tanto da farci domandare se il glorioso partito nato centocinquant’anni fa sotto l’impero guglielmino e subito messo fuorilegge da Otto von Bismarck sia ancora da considerare un Volkspartei , ossia un grande partito popolare. Il primato perduto davvero significativo è piuttosto quello della peculiarità germanica, quella cioè che nei lunghi anni dell’inarrestabile crescita del Paese dapprima diviso e poi riunificato associava la forza rassicurante di una stabilità politica davvero invidiabile. Il verdetto delle urne ci consegna viceversa una Camera alta dove il partito di maggioranza relativa, la Cdu-Csu di Angela Merkel perde l’8,5% dei consensi, dove i liberali del Fdp si riaffacciano con un 10,7% alla ribalta della politica e dove i Verdi guadagnano l’8,9%, ma dove Afd ha raccolto quasi il 13% dei voti.

Un quadro che ora rende la Germania instabile e molto simile a molti dei suoi partner europei. Ed è appunto dell’Europa che vogliamo parlare. Quale sarà la sua sorte, ora che con questa vittoria mutilata Angela Merkel rischia di assomigliare molto da vicino a una lame-duck (la proverbiale 'anatra zoppa', incubo di ogni presidente americano allorché perde la maggioranza al Congresso)? Potrà davvero riconfigurarsi quell’asse Parigi-Berlino di impronta neocarolingia che si dava per scontata solo pochi mesi fa con la straripante vittoria di Emmanuel Macron (che già non nasconde il proprio pessimismo) e il duro castigo inflitto alla destra anti-europea di Marine Le Pen? E soprattutto si potrà ancora parlare di quella road map che avrebbe dovuto imprimere una svolta storica ai balbettii di un’Unione Europea affaticata e incapace di uscire dal proprio labirinto?

Il raggelante silenzio del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker e del Presidente del Consiglio Donald Tusk di fronte ai primi exit poll di domenica parla da solo. Come parlano i numeri delle uniche due possibili maggioranze (a meno di una più che fragile soluzione di minoranza): la prima è una riedizione della Grosse-Koalition Cdu-Csu e Spd, che tuttavia lo sconfitto Martin Schulz (ma fino a quando resterà leader di un partito che complice la modestia della sua statura politica ha condotto alla disfatta?) ha già dichiarato impraticabile, anche per evitare che il ruolo istituzionale dell’opposizione passi nelle mani della Afd. La seconda è un’intesa (detta 'Giamaica', dalla composizione dei colori dei singoli partiti) fra Cdu-Csu, liberali di Fdp ( Freie Demokratische Partei ) e Verdi.

Un puzzle difficile da comporre, in quanto i liberali pretenderanno quasi certamente il Ministero delle Finanze, quello finora guidato da Wolfgang Schäuble: e – questo già lo si sa – saranno molto più severi e rigorosi del pur durissimo ministro che con la sua intransigenza mise in ginocchio la Grecia. Con loro, niente sconti sul Fiscal compact per noi italiani, niente deroghe sul pareggio di bilancio, solo 'compiti a casa' da svolgere il più diligentemente e il più celermente possibile: la temutissima troika è lì dietro l’angolo. Non solo, i liberali arricciano il naso di fronte quell’accelerazione dell’integrazione europea che molti Paesi – tra cui l’Italia – invocano: soprattutto, nessun bilancio comune europeo e meno margini di controllo sui conti pubblici da parte della Commissione. I Verdi invece l’integrazione la sostengono, come sostengono le politiche migratorie (le stesse che probabilmente sono costate l’emorragia di voti ai cristianodemocratici) che Angela Merkel stessa ha confermato subito dopo l’esito del voto.

Difficile metterli d’accordo, come si può intuire, ma sappiamo che Merkel ha grande capacità di mediazione. Del resto in Germania il programma di governo viene minuziosamente scritto e rispettato e nel caso di un governo di coalizione necessita di puntigliose trattative. Così accadrà anche questa volta e difficilmente vedremo insediarsi il nuovo gabinetto prima di dicembre, forse gennaio. Senza dimenticare che al Bundestag una forza consistente come Afd sarà comunque in grado di contrastare e condizionare le scelte della cancelliera. Comprese le politiche sui flussi migratori. A cominciare dalla richiesta italiana (e non solo) di riformare la Convenzione di Dublino sul diritto di asilo. A suo tempo la Merkel si era detta favorevole. Lo sarà ancora con la Baviera che le ha giurato vendetta e ha voltato le spalle alla Csu votando la destra xenofoba?

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