martedì 25 giugno 2019
L’entusiasmo di un lettore per il lancio della divisa del colosso dei social network. Ma resta il dubbio sulla reale efficacia delle transazioni tracciabili di fronte a un’enorme piaga sociale
(Ansa)

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Gentile direttore,

vorrei comprendere meglio il potenziale di Libra, la nuova criptovaluta di Facebook. Potrebbe essere un importante passo avanti nella storia, fuori dai contesti speculativi. Si affermerebbe una moneta “neutra”, non legata a uno Stato, senza che ciò significhi annullare il ruolo di regolamentazione delle singole Nazioni. Quando si potranno effettuare i pagamenti utilizzando uno strumento semplice come whatsapp, non ci sarà proprio nulla che ne potrà impedire la diffusione. Questo significa libertà e potrà significare anche maggiore trasparenza. Le criptovalute sono state criticate talvolta per prestarsi al riciclaggio o, comunque, per la possibilità che impediscano la tracciabilità dei pagamenti, favorendo l’anonimato, soprattutto della criminalità. Io ho un’idea diametralmente opposta. Se la moneta elettronica è ancora ingabbiata dalla macchinosità del suo utilizzo, le criptovalute ne faciliteranno la popolarità, visto che saranno supportate a livello planetario dalle migliori tecnologie smart, senza i freni delle burocrazie nazionali e delle lobby bancarie. Sarà un passaggio storico e la piena tracciabilità dei pagamenti, nel pieno rispetto della privacy, consentirà il superamento delle transazioni in contanti. Queste ultime sono la causa prima dell’evasione fiscale in Paesi come il nostro. Quando anche tutti i nostri pensionati potranno pagare senza sforzo e con la massima sicurezza dal loro telefonino, si eliminerà alla fonte ogni tentazione di “nero” e potranno dare un piccolo aiuto ciascuno ai conti dello Stato. Ciò che non si può ottenere con un obbligo a utilizzare le carte di pagamento, sarà una conseguenza ineludibile del progresso tecnologico. A torto, in Italia qualcuno pensa di far pagare un “dazio” a questo nuovo veicolo monetario, assoggettandolo all’Iva...

Gianni M. Lorenzetti


Potenzialmente “disruptive”, gentile signor Lorenzetti, ovvero “dirompente” nel gergo dell’innovazione tecnologica: una criptovaluta coniata da Facebook, social network il cui fatturato vale quanto il Prodotto interno lordo di un Paese come la Croazia e può contare su due miliardi e mezzo di potenziali utenti, non può che rappresentare un’autentica rivoluzione sociale. Il direttore mi chiede di approfondire le questioni da lei sollevate in merito all’arrivo di Libra, previsto dal fondatore Mark Zuckerberg per l’anno venturo. Ne sono ben lieto, perché si tratta in effetti di un cambiamento epocale che pone il sistema finanziario globale di fronte una nuova stimolante sfida.

La libra di Facebook, criptovaluta basata sulla tecnologia blockchain, non è una novità assoluta. Esistono già il bitcoin e i suoi emuli, utilizzati tuttavia in prevalenza come investimento speculativo anche per l’elevatissima volatilità del cambio con il dollaro. Il colosso digitale Usa vorrebbe invece imporre la propria divisa algoritmica quale sistema di pagamento. Magari attraverso la (sua) applicazione Watsapp, così da intercettare quel miliardo e mezzo di persone nel mondo che non hanno un conto corrente, ma possiedono invece uno smartphone. Zuckerberg non ha deciso di “battere moneta” virtuale per beneficienza: lo fa esattamente per intercettare questa fetta di mercato e rimodulare di conseguenza la struttura dei ricavi del suo colosso, colpito negli ultimi tempi dalla crisi di credibilità legata allo scandalo sull’utilizzo dei dati personali degli utenti. Se la pubblicità rappresenta infatti ancora oggi il 98% del fatturato da 60 miliardi del primo social network al mondo, la piattaforma cinese We-Chat ha già portato al 60% i ricavi proprio da servizi di pagamento. Ecco perché Facebook ha bisogno di renderne stabile il valore della criptovaluta: se devo garantire la possibilità di effettuare transazioni frequenti di portata limitata con uno scambio gratuito di denaro tra pari, la libra non potrà certo valere un dollaro oggi e 50 centesimi domani. Sarebbe in tal caso una moneta inutilizzabile. Libra viene quindi concepita come una “stablecoin” e cioè una criptovaluta basata su un paniere delle principali valute mondiali. In pratica, una moneta virtuale coperta da riserve reali. Per garantirne, appunto, stabilità, copertura e liquidità. È questo il mestiere che fanno nelle economie moderne le Banche centrali. Autorità indipendenti e non lobby bancarie, perché non si può e non si deve dimenticare che il sistema dei pagamenti è un servizio pubblico. Facebook, è vero, ha arruolato dei partner. A partire da Mastercard e Visa. Ma a governare il progetto Libra sarebbe comunque un pool di soggetti privati ingaggiati (a pagamento) da un’azienda a vocazione monopolistica globale. Una società per azioni grande e forse più potente di uno Stato.

Da ciò deriva un secondo ordine di problemi inerenti la privacy. Facebook, per evitare sin dall’inizio critiche in tal senso, ha preso le distanze dalla gestione diretta, affidando la gestione di Libra a un’omonima associazione non profit. Sarà sufficiente per garantire la protezione dei dati personali? Come ricorda spesso uno studioso dell’evoluzione tecnologica, Evgeny Morozov, «quando tutto ciò che facciamo produce tracce digitali, chi controlla quelle tracce controlla ciò che facciamo».

Venendo infine alla seconda grande questione da lei posta, gentile lettore, ossia il superamento delle transazioni in contanti per combattere il fenomeno dell’evasione, ritengo – ahimè – che non sarà una tecnologia, per quanto sicurissima e di facile utilizzo, a liberare gli italiani dalla “tentazione del nero”. Già oggi si possono effettuare bonifici dal telefonino o pagare istantaneamente cappuccio e brioche passando un bancomat “contactless” sul lettore del bar. Basta una “strisciata” per saldare la fattura di una visita specialistica con la carta di credito. Tutte transazioni “tracciabili” e dunque anti-evasione. Eppure l’Italia è nel 2019 al trentaduesimo posto tra le trentacinque peggiori economie al mondo per dipendenza dal contante. Ogni 100 euro di “pagamenti”, oggi, 86 sono “cash”. Anche per questa ragione, andando a braccetto – come è stato ampiamente dimostrato – sommerso e utilizzo del contante, ogni anno nel nostro Paese – altro triste primato – si evadono quasi 36 miliardi di Iva. Basterebbero tra l’altro a disinnescare con ampio margine le famose clausole di salvaguardia. Non solo: la Guardia di Finanza ha scovato in 17 mesi più di 13mila italiani non hanno mai pagato un euro di tasse, ma hanno evaso 3,4 miliardi di Imposta sul valore aggiunto. Ci confermiamo cioè ostinatamente un Paese in cui pochi onesti pagano troppe tasse per i troppi furbi che le evadono. È un enorme piaga sociale, un virus che ha attaccato la natura del nostro senso civico e che infetta l’economia e frena la crescita. Non sarà purtroppo, caro amico, un micro-pagamento tramite Watsapp a sanare una ferita che, duole affermarlo, sembra aver poco a che fare con un gap tecnologico e molto con l’immagine che abbiamo e diamo di noi stessi come cittadini.

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