sabato 22 giugno 2019
Alta tensione al Cairo dopo la morte in carcere dell’ex presidente Morsi. Più repressione e meno stranieri. Il governo di al-Sisi ha impresso un giro di vite anche al Web: bloccati 34mila siti
L’imperativo della sicurezza fa mettere i diritti civili in secondo piano. Nel Sinai, Human Rights Watch parla di «arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate di bambini, torture ed esecuzioni extragiudiziali» Anche per i cristiani la situazione diventa più difficile Resta l’appoggio delle istituzioni economiche internazionali. Emblematico il caso del giornalista el-Eskanderani, condannato a 10 anni.

L’imperativo della sicurezza fa mettere i diritti civili in secondo piano. Nel Sinai, Human Rights Watch parla di «arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate di bambini, torture ed esecuzioni extragiudiziali» Anche per i cristiani la situazione diventa più difficile Resta l’appoggio delle istituzioni economiche internazionali. Emblematico il caso del giornalista el-Eskanderani, condannato a 10 anni.

COMMENTA E CONDIVIDI

«Non mi hanno ancora arrestata, ma potrebbe succedere da un momento all’altro». Lo dice guardandosi attorno, nel cuore di quella che solo dieci anni fa era la Cairo più vivace e cosmopolita, S., insegnante di lingua araba che con l’attivismo ha avuto a che fare per poco, ormai otto anni fa. Quando è stato il momento di chiedere più diritti, è scesa a manifestare insieme a migliaia di altri egiziani, senza vessilli politici né confessionali. È stata una stagione breve, però, durata alcuni mesi e scippata alla gente comune dalle brame di potere della Fratellanza musulmana, prima, e delle Forze armate, un anno dopo. Da quando l’Egitto è stato 'salvato' dal generale- presidente Abdel Fattah al-Sisi, S. ha visto sparire nel nulla conoscenti, amici, qualche familiare. Taluni sono riemersi dal carcere segnati per sempre e subito emigrati. L’incertezza regna sovrana nei discorsi della donna. Nel lavoro, innanzitutto: «Gli studenti stranieri sono sempre meno, meno male che ci sono gli asiatici», gli europei arrivano con il contagocce. Gli italiani non superano le dita di una mano, 3-4 all'anno: il corpo di Giulio Regeni, orrendamente sfigurato e abbandonato sul ciglio della strada nella periferia cairota nel febbraio del 2016, ha inferto al rapporto fra Egitto e Italia un colpo durissimo, allungando un’ombra luttuosa sul tradizionale slancio italico per le terre faraoniche.

In questo Egitto orfano di visitatori, intanto, il costo della vita è in continuo aumento: «Crescerà ancora, ma sappiamo che non possiamo parlarne pubblicamente », dice S. La religione è pure un terreno impervio, soprattutto per chi deve dissimulare una conversione dall’islam al cristianesimo. «Non posso praticare, prego a casa mia», rivela la donna, il cuore oppresso dalla paura del presente e, ancor di più, del futuro. Non è la sola, nell’Egitto post-rivoluzionario color grigio disillusione. Sulle teste dei cittadini, ligi e rassegnati, piovono indicazioni incomprensibili ai più: «Metti giù la macchina fotografica! Subito! Vuoi che mi arrestino e buttino via la chiave?». L’anziano taxista (ma lo sarà poi davvero?) cambia espressione all’improvviso, dopo una conversazione gioviale sul suo nipotino nato poche ore prima, e inizia ad agitarsi sul sedile. Rimpiange Hosni Mubarak, di cui accompagna il nome con benedizioni e lodi. Sputa dal finestrino al solo sentir parlare di Mohammed Morsi (il presidente islamista è deceduto domenica 16 giugno in un’aula di tribunale del Cairo per arresto cardiaco) e il nome dell’attuale raìs lo fa trasalire. Spiega che non sa perché, ma lui e tutti i suoi colleghi sono stati avvisati dalla polizia che i passeggeri non possono fare foto mentre il taxi è in movimento. In nessun luogo. «Sicurezza », dice in un soffio. Ma l’impressione, con il passare dei giorni e il fluire delle conversazioni con vecchie e nuove conoscenze, è che l’in-sicurezza permei ogni aspetto dell’Egitto odierno, disinformato o tenuto all’oscuro su fatti cruciali.

Poco o niente si sa della guerra con i seguaci del Daesh (acronimo dispregiativo con cui è indicato il sedicente Stato i- slamico del califfo Abu Bakr el-Baghdadi) nella penisola del Sinai: un pesante botta e risposta fra Forze armate e jihadisti con ripercussioni gravi sui civili. La campagna militare avviata dalle autorità egiziane all’inizio del 2018 (dopo la strage di 311 fedeli musulmani nella moschea al-Radwa, vicino a el-Arish, il 24 novembre 2017) non è finora riuscita a sradicare l’infiltrazione nella penisola, piuttosto tampona le mire jihadiste sull’Egitto continentale. La locale Unione delle tribù del Sinai riferisce di continui rapimenti di civili – giudici, avvocati, personale medico, insegnanti – da parte dei militanti islamici. E Human Rights Watch, in un recente rapporto di 130 pagine risultato di un lavoro di due anni, denuncia l’inferno in cui vivono gli egiziani del Sinai Settentrionale per mano di polizia, esercito e pure mercenari assoldati dalle autorità centrali sul posto: «Arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate di bambini, torture, esecuzioni extragiudiziali, punizioni collettive, sfratti forzati e attacchi illegali, aerei e terrestri, che hanno ucciso numerosi civili», si legge nella relazione, che ipotizza crimini di guerra contro la popolazione da parte sia dei terroristi sia delle autorità. I n nome della lotta centrale al jihadismo, si giustifica anche la repressione di qualsiasi forma di dissenso o presunto tale: emblematico il caso di Ismail el-Eskanderani, ricercatore e giornalista esperto di Sinai (zona off limits per stampa e ong), processato e condannato a dieci anni di prigione proprio per terrorismo. E sempre sotto l’insegna della stabilità si spiega anche il giro di vite nei confronti del web: 34mila siti internet egiziani sono stati bloccati lo scorso aprile per ostacolare la petizione intitolata 'Batil' (non valido), organizzata dagli oppositori degli emendamenti costituzionali che, mediante referendum, hanno consegnato l’Egitto nelle mani del presidente al-Sisi per i prossimi 15 anni. E per coloro il cui account supera i 5mila contatti, grazie alle nuove normative sui social media entrate in vigore nel 2018, il rischio multa, chiusura o arresto è sempre in agguato se c’è «una minaccia alla sicurezza pubblica». Per questo, dopo la recentissima morte dell’ex presidente Morsi – naturale secondo le autorità, provocata secondo i suoi sostenitori – gli account d’informazione turchi sono stati immediatamente oscurati, mentre entrava in vigore lo stato d’emergenza: Ankara cavalca l’ipotesi omicidio per riportare sotto i riflettori internazionali la repressione di cui sono vittime i Fratelli musulmani egiziani, da sempre 'vicini al cuore' della presidenza Erdogan.

Ma la caccia del regime egiziano al nemico non conosce tregua: sia esso islamista o laico poco importa, si tratta sempre di 'Gente del male', per usare un’espressione del presidente al-Sisi risa- lente al maggio 2016. La vita quotidiana ne è paralizzata: chi ha il sospetto di essere ricercato dagli agenti lascia casa senza bagagli e si rifugia in un altrove di tende scure e silenzio, rifocillato la notte da mani amiche che allungano sacchetti con cibo e vestiti. Oppure si 'reinventa': prima del 2014 erano traduttori, insegnanti, fotografi, ora vestono i panni di agenti immobiliari, esperti di arte, ristoratori. Tutti in attesa che torni il sole e che i riflessi della ripresa economica, decantata dai media governativi, si facciano vedere sui selciati disconnessi dei formicai urbani, dando respiro anche alla libertà di espressione. Oggi, anche avanzare dubbi sulle cifre trionfali fornite dagli economisti del Governo è sovversivo. Ma come negare che lo stillicidio di attacchi terroristici contro la minoranza cristiana copta (si ricordi la strage di pellegrini occorsa sulla strada per Minya, nell’Alto Egitto, a novembre del 2018, preceduta da un’altra nella medesima area nel maggio 2017) e i turisti stranieri (l’ultimo, a fine maggio nei pressi della necropoli di Giza) sia un macigno che impedisce al Paese di riprendere davvero quota?

La presidenza egiziana si aggrappa al supporto internazionale di cui gode, soprattutto nei grandi istituti economici: il Fondo monetario ha appena sbloccato l’ultima tranche del prestito accordato al Cairo nel 2016. Due miliardi di dollari che il governo di Mustafa Madbouli dichiara di voler investire nel tessuto industriale, ma che i suoi detrattori temono siano spesi in mega-progetti edilizi e infrastrutturali avulsi dalle reali necessità della popolazione. Come la Nuova capitale, la smart city destinata a 'drenare' istituzioni, uffici amministrativi, centri produttivi e sanitari dal centro del Cairo in un ordinato paesaggio urbano nuovo di zecca. Il tutto con l’aggiunta di servizi all’avanguardia per circa 8 milioni di eletti. «Egiziani di serie A», commenta N., giovane albergatore egiziano 4.0. La sua struttura è su Booking.com, piattaforma globale che gli garantisce un «discreto numero di ospiti arabi e non». Sempre che Il Cairo non diventi «una megalopoli fantasma», si lascia scappare allontanandosi dalla reception. È l’ora della preghiera.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: