I progetti del presidente Usa contro lo «ius soli»
mercoledì 31 ottobre 2018

«Non credo proprio che possano avere la cittadinanza americana, se sono figli di immigrati illegali. Dobbiamo riprenderci questo Paese, che sta andando in malora». Donald Trump, va detto, è uno dei pochi politici che, una volta arrivato al vertice, non ha cambiato i modi (rudi) e le idee (ancor più rudi) di quando era solo un ambizioso concorrente. E infatti queste parole pronunciate nel 2015 all’inizio della campagna per le presidenziali corrispondono in pieno al concetto esposto ieri in un’intervista televisiva: «La cittadinanza in base al luogo di nascita è ridicola, gli Usa sono l’unico Paese al mondo in cui una persona entra e quando ha un bambino questo diventa cittadino americano».

E ancor più al proposito di emanare un ordine presidenziale per cambiare la legge. La sortita ha anche ragioni d’occasione, ovvio. Il 6 novembre negli Usa si vota per le cosiddette “elezioni di medio termine”, con cui i cittadini dovranno rinnovare l’intera Camera e un terzo del Senato, decidendo così se confermare o smentire l’attuale corso politico. Il voto quindi è vicino ed è ormai una sorta di referendum su Trump. E mentre la carovana dei settemila migranti raccoltisi a partire dall’Honduras è già in territorio messicano ed è sempre più decisa a raggiungere gli Stati Uniti, il Presidente nazionalista e sovranista fa leva sui temi più cari al suo elettorato. L’America agli americani è uno di questi. La questione della cittadinanza per luogo di nascita, o ius soli, è però da tempo nel cuore della destra trumpiana. Non a caso qualche giorno prima di Trump era uscito allo scoperto Michael Anton, negli ultimi due anni alla Casa Bianca come vice consigliere alla Sicurezza nazionale, che in un contestatissimo editoriale per il “Washington Post” aveva sostenuto che la legge attualmente in vigore è basata su una interpretazione errata della Costituzione. In particolare, del Quattordicesimo emendamento che fu approvato proprio 150 anni fa, nel 1868.

Diventa necessario, a questo punto, un pizzico di ricostruzione storica. Il testo dell’emendamento fu redatto da Jacob Howard, senatore del Michigan, e dice: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti d’America, e quindi soggette alla loro giurisdizione, sono cittadini degli Stati Uniti d’America». Seguivano alcune eccezioni che secondo Anton, invece, coinvolgono anche i cittadini stranieri. Dallo Ius soli, insomma, si passerebbe allo Ius sanguinis.

A smontare le considerazioni di Anton, però, arriva un commento che il senatore Howard scrisse dopo aver fatto la sua proposta, nel 1866, e che è conservato presso la Biblioteca del Congresso: «L’emendamento che ho presentato... non varrà per le persone che sono nate negli Stati Uniti e sono stranieri, parenti di ambasciatori o di ministri accreditati presso il governo degli Stati Uniti, ma varrà per qualunque altro genere di persona». Detto così è tutto chiaro. Bisogna però aggiungere che il Quattordicesimo è il più discusso tra gli emendamenti alla Costituzione americana, ed è quello sulla cui interpretazione sono state decise alcune delle più scottanti battaglie costituzionali della storia recente degli Usa, dalla discriminazione razziale (Brown contro il Consiglio dell’Educazione, 1954) all’aborto (Roe contro Wade, 1973), dall’esito delle elezioni presidenziali del 2000 (Bush contro Gore) al matrimonio omosessuale (Obergefell contro Hodges, 2015).

Questo perché è uno dei cosiddetti Emendamenti della Ricostruzione ( Tredicesimo, Quattordicesimo e Quindicesimo), approvati dopo la guerra di Secessione (1861-1865) che sconvolse l’America. Erano destinati, nell’intenzione del legislatore, a integrare gli Stati sconfitti del Sud nel sistema costituzionale ed economico del Nord vincitore e a favorire la rinascita del Paese intero dopo una guerra che aveva fatto quasi un milione di morti (gli Usa avevano, allora, 31 milioni di abitanti) e devastato il sistema produttivo. Il Quattordicesimo, con le norme sulla cittadinanza, puntava a integrare gli schiavi appena liberati e anche a rifornire di forza lavoro legalizzata le industrie del Nord.

Quando se la prende con lo Ius soli, quindi, Trump agita una bandiera non solo culturale (no al meticciato e così via), ma anche economica. Perché gli Usa, e soprattutto l’elettorato bianco, di reddito medio-basso e residente nei piccoli centri, hanno avuto negli ultimi anni il problema contrario: tante braccia e pochi posti di lavoro. Il Pew Hispanic Center stima che il 7,5% di tutte le nascite è dovuto ogni anno a immigrati illegali. E che sono 4,5 milioni i minori (senza quindi contare tutti coloro che hanno più di 18 anni) nati da immigrati illegali che hanno ricevuto la cittadinanza Usa. Il messaggio scoperto di Trump è: niente più stranieri. Ma quello coperto, e tanto più efficace per gli operai bianchi, è: niente più concorrenza. Il 6 novembre vedremo se e quanto funziona.

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