venerdì 24 maggio 2013
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ll dibattito sempre più acceso in merito all’ormai imminente referendum bolognese sul finanziamento pubblico alle scuole materne paritarie gestite da "privati" (scuole quasi tutte cattoliche) ha un evidente e legittimo profilo di politica locale. Qual è il miglior interesse dei bolognesi? Sospendere i finanziamenti a queste scuole costituirà un vantaggio per i bambini o ridurrà i servizi pubblici cui essi hanno diritto? Il dibattito, avvertono però alcuni, possiede un profilo più alto, talmente più alto che – ci spiega Stefano Rodotà dalle colonne del Corriere della Sera del 21 maggio – ci si dovrebbe «un po’ vergognare» a ridurre una questione di principio, quella del primato dell’azione pubblica rispetto all’azione privata, a una «questione contabile» (come egli ritiene abbia fatto il cardinal Bagnasco, quando ha sottolineato che il sistema attuale di finanziamento consente allo Stato di risparmiare ingenti risorse). Dall’Università di Bologna si aggiunge, nello stesso giorno e sullo stesso quotidiano, alla voce di Rodotà quella di Maurizio Matteuzzi, che bacchetta i difensori dei finanziamenti pubblici alla scuola privata ancorché paritaria, ricordando che «i problemi etici non si risolvono – almeno nella tradizione greco-latina-cristiana – con l’analisi economica della massima convenienza». E solo questo starebbero facendo Stefano Zamagni e altri ancora. Non entro nel merito della convenienza economica del sistema integrato vigente a Bologna e che il referendum vorrebbe cancellare: tale convenienza è evidente, come peraltro ha ricordato il sindaco della città. Mi interessa di più ribadire perché non ci si deve vergognare – nemmeno «un po’», come vorrebbe Rodotà – ad adottare su di un tema come questo il paradigma della «massima convenienza». Credo, infatti, nella laicità cristiana, il cui principio fondamentale è semplicissimo: il bene comune, il bene politico, è il bene di tutti i cittadini, credenti e non credenti a va promosso attraverso l’impegno solidaristico di tutti. Tutt’altra cosa sono quei «beni» che la Chiesa garantisce ai battezzati (i sacramenti) e che non hanno alcuna valenza politica. Ora, è chiaro che i servizi espletati dalle scuole materne paritarie convenzionate sono servizi pubblici e politici, politici perché pubblici. Lo sono, non perché questi servizi siano gestiti da soggetti statali o comunali, ma perché si tratta di servizi che le convenzioni tra il Comune e i soggetti privati esigono giustamente (condizione essenziale per erogare i finanziamenti) che essi siano offerti a tutti, nel presupposto che attraverso questa loro offerta nessun bambino venga discriminato. Su questo punto l’esperienza bolognese, come del resto quella di tutte le altre scuole riconosciute "paritarie", è esemplare. La richiesta dei referendari di abrogare il finanziamento alle scuole materne "private" non nasce dal fatto che esse siano discriminatorie (nessuno si è sognato o può sognarsi di dire una cosa del genere), ma solo dal fatto che non sono di proprietà statale o comunale. E qui il nodo ideologico della questione emerge nettamente: i referendari ritengono evidentemente che solo una proprietà statale o comunale possa garantire servizi ottimali per tutti. Tesi ardita, ma che qui non voglio discutere nel merito. È sufficiente ribadire che l’opposta tesi (quella per la quale un servizio pubblico affidato a privati possa essere ben più vantaggioso) non è vergognosa e non merita di essere denigrata come una tesi «contabile». È piuttosto una tesi che ci aiuta a capire cosa davvero sia la laicità autentica: il discutere cioè a partire dalle cose stesse e non da valutazioni pregiudiziali, ancorché nobili e suggestive (almeno per chi le propone!). Laicità è «credere che le cose esistano», diceva l’indimenticabile Sofia Vanni Rovighi, è ragionare a partire dal "basso" dell’esperienza (cioè in questo caso dalla concretezza della situazione bolognese) e non dall’"alto" dei concetti (anche di quelli della tradizione latinocristiana e dalla sua pretesa diffidenza verso l’analisi economica della «massima convenienza»). Introdurre nel dibattito su un sistema di istruzione pubblico integrato e, specificamente, sul ruolo della scuola materna convenzionata e sui finanziamenti a essa destinati un riferimento a tali concetti assoluti significa restare chiusi in quel recinto ideologico che la modernità ha costruito per difendere se stessa e i suoi dogmi (non meno vincolanti dei dogmi cristiani e molto meno storicamente filtrati di questi!). Da questo recinto bisogna assolutamente fuoriuscire: per chi è chiamato a farlo, anche con un saggio voto referendario domenica prossima.
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