martedì 10 settembre 2019
Nel Foggiano il cambiamento climatico ha già trasformato le abitudini dei pescatori e dei turisti. Aumento della temperatura delle acque e invasione di specie 'aliene'
Le calze piene di mitili negli impianti di mitilicoltura al largo di Capoiale (Foggia)

Le calze piene di mitili negli impianti di mitilicoltura al largo di Capoiale (Foggia)

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Per contrastare gli effetti del cambiamento climatico dobbiamo imparare a mangiare pesci e crostacei alieni, che invadono i nostri mari e provocano l’estinzione delle specie autoctone. Si fa già con il pesce serra e il granchio blu (Callinectes sapidus). Succederà presto con le meduse, il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii) e gasteropodi come la Rapana venosa e la Tilapia (Oreochromis niloticus), che abbondano nelle lagune di Lesina e Varano, i più grandi bacini salmastri dell’Italia meridionale. La scienza è d’accordo, «ma come tutte le risposte evolutive, il mutamento del gusto richiede tempi più lunghi del riscaldamento globale», osserva Tommaso Scirocco, ricercatore dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR di Lesina, che ci accompagna nella pesca delle cozze con i mitilicoltori della 'Jolly Pesca' di Capoiale. Per i bagnanti che ci osservano armeggiare con le reti dalle spiagge del Parco, l’estate sul Gargano non cambia mai. Fa sempre un gran caldo, il mare è cristallino e anche oggi i ristoranti di Peschici serviranno un abbondante fritto di paranza. La realtà però è diversa. «L’Adriatico, anche per la sue ridotte dimensioni, anticipa i fenomeni globali – spiega Roberto Danovaro, presidente della Stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli –. Negli ultimi cinquant’anni il tasso d’incremento della temperatura della colonna d’acqua è stato di 1,6 gradi e la Cystoseira, un’alga bruna che lo rendeva simile ai mari del Nord è sparita dal 60 al 90%». Per contro, sono arrivati i barracuda e i pesci balestra e sulle spiagge del Salento scorrazza il Percnon gibbesi, un granchio corridore. Arriverà presto il pesce scorpione: colori vivaci e aculei fatali.

«Seguono le correnti calde e ridisegnano ecosistema e mercati: il pesce serra in alcune aree dell’Adriatico sta sostituendo la spigola, mentre a volte la leccia, che è in espansione, viene venduta per ricciola, anche se da un punto di vista commerciale ha carni meno pregiate – puntualizza Fabio Grati, biologo marino dell’Irbim Cnr di Ancona –; gli scampi, poi, stanno diminuendo, mentre aumentano gambero rosa e mazzancolle, che amano acque più calde». Dall’apertura del canale di Suez (1867), il Mediterraneo ha subito un’autentica invasione di pesci e molluschi tropicali: sono state censite più di mille specie animali aliene. Alcune sono state introdotte dall’uomo, come la celeberrima vongola asiatica detta Ruditapes philippinarum, originaria del Mar del Giappone e molto produttiva, che ha soppiantato la decussatus originaria del Mediterraneo. Le altre sono arrivate con le acque di zavorra delle portacontainer. «L’ultima – segnala Scirocco – è lo Ctenoforo Mnemiopsis leidyi, simile a una piccola medusa dal corpo gelatinoso». Di questa rivoluzione sottomarina, così dirompente anche per la limitata profondità di queste acque, i bagnanti sono talmente inconsapevoli che si entusiasmano quando s’imbattono in una stella marina, sulla battigia. «L’alta temperatura – avverte Danovaro – riduce l’ossigenazione delle acque, uccidendo stelle marine e canolicchi che troviamo spiaggiati al mattino, costringe i pesci a scendere in profondità dove c’è meno cibo, e l’anidride carbonica modifica il pH, bloccando la crescita del corallo rosso». Anche i mitilicoltori ci confermano che il cambiamento c’è. E continua. Proprio qui dove ci troviamo, a un miglio dalla costa settentrionale garganica, i famosi due gradi in più del riscaldamento globale in estate possono diventare quattro. Da ventisei a trenta gradi centigradi fino a dieci metri di profondità, lungo l’intera colonna d’acqua. Con effetti devastanti: bivalvi che faticano a crescere mentre proliferano tartarughe ( Caretta caretta), meduse e mucillagini sul fondale e, naturalmente, alieni tropicali che competono con le cozze, come il bivalve Anadara transversa e il crostaceo Dyspanopeus sayi.

«Le lacrime sono finite», commenta Mimmo Coccia. Coltiva cozze da quand’era bambino, come suo padre e suo nonno. Anche la mitilicoltura del Gargano, tuttavia, è un’aliena: è stata importata da Taranto nei primi decenni del ’900. Vent’anni fa rendeva talmente bene che gli emigrati tornarono a Capoiale per investire nell’allevamento del Mytilus galloprovincialis. A ricordare la crisi del 2008 restano barche sfasciate e pontili sconquassati, fantasmi del passato come l’Idroscalo Ivo Monti di San Nicola Imbuti, la base degli idrovolanti della Grande Guerra che si affaccia spettrale sulla laguna di Varano. A levar l’ancora di buon mattino, sotto questo sole tropicale, sono rimaste solo cinque cooperative. Una volta, la 'Jolly Pesca' dei fratelli Coccia arrivava a raccogliere dodicimila quintali di molluschi l’anno; adesso deve accontentarsi di un terzo. «Lavoriamo nel mare più pulito dell’Adriatico – spiega Coccia – e la cozza garganica è di altissima qualità; tuttavia, quando l’acqua è pulita, il guscio cresce ma non si riempie di carni e per questo ci tocca vendere le nostre cozze agli spagnoli che le ingrassano e le rivendono». Tutto vero. Per le autorità sanitarie, queste acque sono talmente pulite che il mollusco passa direttamente dalla produzione al consumo, senza dover transitare, come in altri casi, attraverso un centro di depurazione.

Il riscaldamento dei mari produce effetti apparentemente contraddittori. Attrae meduse come l’Aurelia, presente da anni nella laguna di Varano; è la stessa medusa quadrifoglio che nello Jonio attrae frotte di turisti perché, non essendo urticante, si può fare il bagno a Ginosa e immaginare di trovarsi a Papeete. Ma lo stesso riscaldamento fa delle stragi nel macrozoobenthos, fatto di minuscoli invertebrati che vivono nei primi strati dei fondali marini e lagunari: «L’aumento della temperatura riduce l’ossigeno disciolto nell’acqua – racconta Scirocco – e l’attività dei batteri anaerobici libera idrogeno solforato, metano e ammoniaca, che avvelenano la comunità vivente, con una serie di ripercussioni sulla catena alimentare». Come sulla mitilicoltura: a un miglio dalla costa, i pescatori tirano a bordo le 'calze', reti tubolari, riempite di mitili e ancorate a un sistema di corde e boe, che formano 'parchi' grandi qualche chilometro quadrato. Sulla barca, l’attività è frenetica: in pochi secondi, ogni calza viene tagliata e le cozze 'sgranate', selezionate per dimensione e infilate in calze dalle maglie sempre più larghe, che saranno calate nuovamente in mare, dove il mollusco potrà crescere fino a sette centimetri, la taglia commerciale. L’abilità sta nello 'sgranare' senza rovinare il bisso, il filamento che la cozza usa per aggrapparsi allo scoglio. «Anche questa glicoproteina prodotta dai mitili – segnala Scirocco – cambia con le temperature, nel senso che si indebolisce e non 'tiene' come prima».

Lo scarto della lavorazione dei mitili sono chilometri di reti strappate. La 'Jolly Pesca' le riporta a terra, ma non tutti lo fanno. Abbandonata in mare, questa plastica è veleno per le tartarughe, che con il riscaldamento delle acque sono diventate sempre più frequenti e attaccano le calze per divorare i mitili. «Il problema non sono le Caretta caretta – precisa Coccia – ma il riscaldamento dell’acqua marina che condiziona la riproduzione e la crescita, fino a provocare autentiche morie, e riduce la nostra produzione fino al 70%. Si tenga conto che noi vendiamo le cozze a 40/50 centesimi al chilo, esattamente come venticinque anni fa, mentre oggi paghiamo una bobina di reti 48 euro più iva; e il Comune non ci aiuta neanche a smaltire i rifiuti, come invece fanno a Chioggia». Insomma, anche il piccolo mare Adriatico sta cambiando e non sempre basta adattare il menu. Anzi. «L’incremento delle temperature, la globalizzazione e l’eutrofizzazione delle aree costiere – ci dice Scirocco – favoriscono la proliferazione di fitoplancton tossico per l’uomo. Ci sono dinoflagellati microscopici che producono delle neurotossine pericolosissime: provocano la paralisi e la morte, se ingerite insieme alle cozze. Ovviamente, i controlli dell’Ausl sono frequentissimi». Le autorità sanitarie, però, non possono nulla contro l’ignoranza di quanti, avendo pescato uno splendido esemplare di pesce palla maculato non resistono alla tentazione di cucinarlo: «Questo pesce dalle grandi dimensioni arriva dal canale di Suez, seguendo il riscaldamento delle acque marine – ricorda Piero Genovesi dell’Ispra –, è presente anche nell’Adriatico e le sue dimensioni ne fanno un trofeo ambito. Ma è tossico e, per quanto pochi lo sappiano, cibarsene significa quasi certamente morire».

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