La visione del «nemico» di Trump
sabato 15 aprile 2017

In questi ultimi anni, all’opinione pubblica internazionale è stato più volte spiegato e assicurato come la guerra, pur foriera di sofferenze e privazioni, stesse ormai divenendo un’operazione sempre più "intelligente" e "chirurgica". Bombardamenti e operazioni militari sul campo sono state descritte e raccontate come azioni perfettamente organizzate, capaci di evitare vittime non programmate, in particolare civili. «Danni collaterali» a parte... Precauzioni sia operative sia narrative rispondenti alla sensibilità di una società civile globale che – in particolare nei Paesi democratici – da diversi anni non sopporta più brutalità indiscriminata, violazione dei diritti umani e ferocia illimitata neppure nel contesto specifico e terribile di un confronto bellico. In altre parole, la reazione di un numero crescente di persone a livello mondiale di fronte alla sofferenze di altri esseri viventi ha costituito negli ultimi anni un vincolo per molti governanti nella conduzione della guerra.

In poche settimane, Donald Trump e i suoi generali hanno chiarito di non avere remore e tentennamenti in tal senso. A questa Amministrazione degli Stati Uniti d’America non interessa in alcun modo l’accettazione da parte dell’opinione pubblica. Sembra interessare invece annichilire e scioccare. Non si tratta di "pubblicità", tale comportamento è, in realtà, il risultato di una visione ben precisa della guerra: l’idea di dover vincere a tutti i costi e possibilmente lasciando nel nemico un sentimento di impotenza. Si può arrivare ad ammettere qualsiasi strumento. La scelta di utilizzare in Afghanistan l’ordigno non-nucleare più potente mai impiegato – quella che è stata chiamata la «madre di tutte le bombe» – esplicita, in particolare, questo tipo di atteggiamento nei confronti dell’impegno bellico.
Le caratteristiche tecniche della superbomba Gbu-43, infatti, sono profondamente rivelatrici. Per usare parole semplici la Gbu-43 esplode prima di toccare terra. Questo implica che, in seguito all’esplosione, si irraggiano energia e calore tali da incendiare l’aria. Tutto ciò che si trova nel raggio di un miglio è destinato a bruciare e incenerirsi. Essa quindi non solo è immediatamente e altamente distruttiva, ma è anche capace di lasciare effetti duraturi sull’ambiente e sulle persone. Alle ferite e ustioni corporali di eventuali vittime possono associarsi, infatti, reazioni di natura psicologica in coloro che hanno assistito all’esplosione.

Tale spregiudicatezza in ambito militare è anche un segnale a tutti gli avversari degli Stati Uniti (Corea del Nord e Iran su tutti) come da molti evidenziato? Certo, ma non solo. Così come è già stato annotato su queste pagine, Donald Trump ci riporta indietro nel tempo. Stavolta, autorizzando una modalità di attacco militare che ci riconsegna alle logiche di un mondo in cui l’essere umano osservava e giustificava ferocia e crudeltà senza limiti e la giustificava con il fine di distruggere il nemico, senza considerazione alcuna per la sofferenza degli esseri umani coinvolti e travolti. Il lancio della superbomba Gbu-43 rappresenta quindi, in primo luogo, l’affermazione e la manifestazione di questa "identità guerriera" che si mostra non condizionata e non vincolata.

Per questo è il caso di cominciare a chiederci se non sia a rischio l’insieme di conquiste ideali che hanno caratterizzato la nostra civilizzazione all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. In particolare, gli Stati Uniti rischiano di smarrire la narrativa epica moralmente orientata alla libertà che ha sostenuto la scrittura della storia recente. Il rischio di tale involuzione è concreto anche considerando che il nuovo capo della Casa Bianca e i collaboratori che si è scelto hanno una chiara intenzione di rafforzare tale "identità guerriera" senza vincoli, con un massiccio impegno di spesa in ambito militare (+10% solo in questo primo anno di presidenza). A ciò inevitabilmente seguirà un effetto domino. E questo aggiungendosi al fanatismo dei terroristi del XXI secolo minaccia di rendere il mondo un luogo sempre meno sicuro, sia per il numero di armi esistenti sia per l’assenza di limiti al loro utilizzo.

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