Migrazioni: coniugare umanità e sicurezza. La vera mina sono i rinvii
sabato 5 settembre 2020

Il governo ha disinnescato la mina di Lampedusa con un mini-decreto ad hoc. Ha fatto ciò che aveva promesso, appena il giorno prima, al sindaco Totò Martello e al presidente siciliano Nello Musumeci. La questione del giorno va però inquadrata nel contesto che l’ha prodotta. Gli approdi via mare in Italia sono effettivamente aumentati quest’anno, soprattutto in estate, rispetto ai numeri molto bassi degli ultimi due anni: al 4 settembre il Ministero dell’Interno ha registrato 19.926 persone sbarcate, una cifra quasi pari a quella dell’intero 2018 (20.210) e molto superiore ai minimi toccati nel 2019 (5.624). Siamo però ben lontani dai valori raggiunti a metà del decennio: 166.000 nel 2014, 152.343 nel 2015; 178.000 nel 2016, prima che nel 2017 i controversi accordi con la Libia cominciassero a comprimere, costi quel costi, le partenze. Non c’è proporzione tra i numeri attuali e la percezione di un "ritorno dell’emergenza" simile a quello allora dichiarato.

Quanto alle ragioni dell’aumento dei numeri, la spiegazione non è univoca, ma appare innegabile che la duplice crisi, libica e tunisina, abbia influito sulla ripresa delle partenze. Dietro ai Paesi di frontiera, la crescente instabilità dell’area del Sahel appare destinata a sua volta a indebolire il sistema di controllo dei transiti finanziato dall’Unione Europea. La sensazione di un abnorme sovraffollamento nella piccola isola ha invece in gran parte una causa che non dipende dalla geografia. Gli sbarchi attuali sono prevalentemente "spontanei": le persone arrivano dal Nord-Africa con i loro pur precari mezzi, al prezzo di notevoli rischi (almeno 500 vittime stimate dall’inizio dell’anno).

Il fatto che raggiungano Lampedusa però non può essere disgiunto dalla drastica riduzione delle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, sia da parte dei mezzi militari, sia a opera delle navi delle Ong. In precedenza, i soccorritori intercettavano i natanti dei profughi in mare aperto e, coordinati dalle autorità italiane, li conducevano nei porti sicuri in quel momento più disponibili ad accoglierli. La dismissione dei dispositivi di soccorso in mare si è abbinata con lo smantellamento del sistema di accoglienza a terra. Non si sa dove alloggiare i richiedenti asilo perché gran parte dei cosiddetti hotspot e dei centri di accoglienza sono stati chiusi, ritenendo non servissero più. Non c’è nulla come rinunciare a prepararsi ad affrontare un fenomeno per trasformarlo in un’emergenza...

Di certo le resistenze ad accogliere, in Sicilia, in Calabria e altrove, traggono oggi alimento dalla paura dei contagi. Si è notato che tra gli sbarcati il 3% è risultato positivo ai test, un dato più che doppio rispetto alla media nazionale. Non si è posta però altrettanta attenzione a un aspetto decisivo: i profughi sono tutti sistematicamente sottoposti a controlli medici, consentendo quindi di isolare le persone contagiate. A differenza di quanto avviene con turisti, villeggianti, diportisti, frequentatori di discoteche e locali notturni. Per garantire la prevenzione sanitaria - e tenere a bordo il più a lungo tutti, compresi donne e bambini - stanno arrivando a Lampedusa altre navi-quarantena: uno strumento pensato e adottato forse più per rassicurare l’opinione pubblica e per tenere al minimo le fibrillazioni in Parlamento e nel Governo.

Le organizzazioni che si occupano di accoglienza ne hanno segnalato subito l’inadeguatezza, indicando come alternativa l’istituzione di strutture-ponte a terra, di dimensioni ridotte, prima dell’ingresso in accoglienza. Le vere o presunte paure dei residenti hanno prevalso sul dovere di proteggere in modo equilibrato sia chi accoglie, sia chi ha diritto di essere accolto. La paura della perdita di consenso, o di strumentalizzazione politica, sembra continuare a perseguitare come un’ombra chi governa e chi siede nelle Camere, e a condizionarne le scelte. La strategia delle navi-quarantena fa il paio con l’ennesimo rinvio della riforma dei decreti-sicurezza. E Ora il problema è soprattutto la scadenza elettorale del 20-21 settembre. Ma ci sono temi su cui un Governo definisce il suo profilo politico e anche etico, la sua immagine, l’impronta che lascerà. E non vi è dubbio che la politica dell’accoglienza e dell’asilo rientri fra questi. Un grande e civile Paese sa coniugare umanità e sicurezza. E chi lo guida non ha paura di dimostrarlo ai concittadini.

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