venerdì 29 marzo 2019
Il nuovo presidente: nel 1964 in Brasile nessun colpo di Stato né in seguito una dittatura, soltanto lotta al terrorismo. I fatti parlano chiaro, con qualche precisazione
La sinistra massimalista non era buona per definizione, falsificazioni da entrambe le parti, si pensi al caso di Battisti E oggi c’è chi torna persino al periodo coloniale, come fa il messicano López Obrador In quegli anni democrazia abolita e molte violazioni dei diritti umani. Però vi fu violenza anche da parte degli oppositori Jair Bolsonaro, 64 anni, ex militare, è presidente del Brasile dal primo gennaio

La sinistra massimalista non era buona per definizione, falsificazioni da entrambe le parti, si pensi al caso di Battisti E oggi c’è chi torna persino al periodo coloniale, come fa il messicano López Obrador In quegli anni democrazia abolita e molte violazioni dei diritti umani. Però vi fu violenza anche da parte degli oppositori Jair Bolsonaro, 64 anni, ex militare, è presidente del Brasile dal primo gennaio

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Ci si può chiedere se non esista una tendenza (non certo esclusiva) dei populismi a riscrivere la storia a loro immagine e somiglianza, quasi una conseguenza automatica della loro pretesa di incarnare il popolo 'buono'. A distanza di pochi giorni, i due principali presidenti populisti dell’America Latina (entrambi per ora ascrivibili alla variante democratica del populismo), il messicano Andrés Manuel López Obrador e il brasiliano Jair Bolsonaro, si sono mossi, ciascuno a suo modo, in quella direzione. Il primo, un populista democratico di sinistra, ha chiesto alla Spagna un atto di scuse per la colonizzazione. Il secondo, un populista democratico di destra, ha negato che quello verificatosi nel 1964 in Brasile (il 55° anniversario cade nei prossimi giorni) sia stato un vero colpo di Stato e che il regime militare installato a Brasilia nel 1964 e durato fino al 1985 sia stata una vera e propria dittatura militare.

La questione posta da Bolsonaro è, a nostro avviso, più interessante di quella, assai stantia, sollevata da López Obrador. Essa riapre un capitolo doloroso della storia latino-americana recente, ancora troppo vicino per essere sottratto a controversie immediatamente politiche. Si tratta, infatti, di una vicenda specificamente brasiliana e, al tempo stesso, di un capitolo nazionale di una fase della storia continentale (l’ultima generazione dei regimi militari sudamericani) e della storia globale della Guerra fredda. Alcuni punti fermi potrebbero aiutare a strutturare il ragionamento e a individuare i profili problematici, specie quelli rilevanti per l’oggi.

In un arco temporale collocato fra la metà degli anni 60 e la fine degli anni 80 del secolo scorso quasi tutti i Paesi latino-americani (con l’eccezione di Messico, Venezuela e, in parte, Colombia) hanno interrotto una traiettoria democratica spesso fragile, anche se non priva di radici nel costituzionalismo “di carta” che aveva visto la luce dopo l’indipendenza, all’inizio del XIX secolo. Le storie nazionali sono molto diverse. Il primo punto fermo, però, è che i regimi in tal modo creati avevano natura dittatoriale e quindi extracostituzionale: e da questo punto di vista le pretese “negazioniste” di Bolsonaro, che parla di “revoluçäo democratica” appaiono francamente fantasiose. Il secondo punto fermo è che, durante il periodo dittatoriale, sono state poste in essere gravi violazioni dei diritti umani, non solo della libertà politica e del principio democratico, ben più dei “problemihas” di cui ragiona il presidente brasiliano. Tali violazioni sono state accertate in vari processi e sono state chiarite da apposite Commissioni indipendenti per la verità e la riconciliazione. Ogni tentativo di mettere in discussione questi due dati non può essere preso sul serio.

Le questioni che meritano discussione cominciano da questo punto. Premesso, per usare un linguaggio da esperti di diritto, che esiste il reato, ci si può successivamente chiedere se siano presenti aggravanti o attenuanti. Cioè se quelle dittature possano essere in parte spiegate nel contesto storico in cui si collocavano e se le loro vittime – che tali ovviamente restano – fossero del tutto innocenti o se, almeno in alcuni casi, non siano esistite forme di complicità con opposizioni violente. A questo proposito, si può forse affermare che negli ultimi quindici anni, segnati dall’egemonia in America Latina di regimi politici di sinistra, di varia colorazione e con più o meno forti tonalità popu-liste, la riscrittura della storia era stata a sua volta condotta avanti con spregiudicatezza e, forse, le stesse dichiarazioni di Bolsonaro potrebbero essere in parte comprese in questa prospettiva (diversa, dunque, dal negazionismo dei regimi militari e delle violazioni dei diritti umani). Tre dati dovrebbero essere tenuti in considerazione.

Il primo è il ruolo funesto dei populismi – risalenti in Argentina a Perón e in Brasile a Vargas e Goulart (il presidente desti- tuito nel 1964) – nell’inquinamento delle procedure democratiche e nella destabilizzazione della rappresentanza. Alcuni regimi militari (certo quello brasiliano dal ’64 in poi, ma anche quelli argentini sia negli anni 50 e 60 che dopo il 1976, ma si potrebbe citare anche il caso dell’Ecuador) nascono in reazione a questo fenomeno e si sono giustificati davanti al mondo con la pretesa di fermare un totalitarismo incipiente. Il secondo, ancora più grave, è la guerriglia internazionale diffusa dal regime castrista in America Latina dopo il consolidamento della rivoluzione cubana. Alcuni movimenti guerriglieri si opponevano a regimi autoritari, ma altri contribuirono a debilitare fragili e imperfette democrazie e a favorire i golpe. La strategia insurrezionalista cubana contribuì inoltre a inquinare tentativi autoctoni di transizione al socialismo, a loro volta ambigui e pericolosi: è il caso di Allende in Cile. I nfine, il ruolo di molti degli oppositori che furono in vario modo vittime di quei regimi. Premesso che, ovviamente, ciò non può giustificare le violazioni dei diritti umani compiute in quegli anni, non poche vittime non erano innocenti: spesso erano portatrici (non in astratto, ma nella pratica politica, e talora con il ricorso al terrorismo: si pensi ai Tupamaros in Uruguay, ai Montoneros in Argentina o al Frente Manuel Rodríguez in Cile) di percorsi politici ispirati al totalitarismo comunista, dunque a un regime non meno antidemocratico di quelli instaurati dai militari. Da qui ad affermare, come talora fanno Bolsonaro ed il suo entourage, che si combatté una sorta di guerra contro il terrorismo e che ciò che accadde fu giustificato, vi è una distanza abissale. Ma forse neppure la favola di Cappuccetto Rosso, nella quale i militari erano i cattivi (vero) e le sinistre insurrezionaliste i buoni (falso) è un racconto credibile (come è dimostrato anche da alcune sue applicazioni a casi che ci riguardano, per esempio la vicenda di Cesare Battisti). E forse la rilettura della storia tentata dai populismi di sinistra fino all’altro ieri si è spinta troppo avanti in quella direzione.

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