giovedì 19 dicembre 2019
Il legame tra deforestazione e cambiamenti climatici e la necessità di difendere le zone verdi
Nell’immagine a sinistra la cittadina brasiliana di Ribeirão Preto interessata da un fenomeno provocato dai cosiddetti 'fiumi volanti'

Nell’immagine a sinistra la cittadina brasiliana di Ribeirão Preto interessata da un fenomeno provocato dai cosiddetti 'fiumi volanti' - Margi Moss Archive personnelle Moss

COMMENTA E CONDIVIDI

C’è un mondo meraviglioso, disegnato da fenomeni naturali che superano l’immaginazione. È il nostro, che ha un 'polmone verde' chiamato Amazzonia: la più grande foresta pluviale al mondo, con il più ricco sistema fluviale planetario che ospita circa il 20% dell’acqua dolce sulla Terra. Una foresta che regola il clima dell’intero pianeta, ospitata principalmente dal Brasile. E questa storia sembra emergere proprio dalle note leggere di bossa nova della chitarra di Tom Jobin, nella celebre canzone di Caetano Veloso: «Guarda, che cosa tanto bella e piena di grazia... ». Non tratta di una 'Ragazza di Ipanema' questa immagine fantastica, ma della scoperta del fiume più grande del mondo. Un corso d’acqua che come nelle visioni oniriche non risiede sulla terra, ma scorre nel cielo: questa è la storia vera del fiume volante più grande del Pianeta.


Gerard e Margi Moss sono una coppia di esploratori che da 35 anni viaggia con aerei leggeri a bassa quota. La loro casa è il Brasile, anche se lui è di origine svizzera e lei keniota. Sorvolando il mondo hanno osservato come cambiava la superficie della Terra, in particolare la diffusione dei deserti e lo stato precario di molti fiumi. Fenomeni che progressivamente trasformavano i componenti di ancestrali popolazioni indigene in rifugiati ambientali. L’acqua dei fiumi che aveva consentito la nascita di caleidoscopiche culture tribali, come quelle nate sulle sponde del Rio delle Amazzoni, è sempre più scarsa. Proprio sorvolando l’Amazzonia, Gerard Moss notò che l’umidità dell’aria in alcuni punti forma una sorta di corridoio d’acqua. Un fenomeno a cui presto avrebbe dato un nome insieme ad uno scienziato agronomo, esperto di biogeochimica: il prof. Antonio Nobre. Moss e Nobre dal 2007 hanno avviato il progetto 'Rios voadores' (in portoghese, 'Fiumi volanti'). Per circa dieci anni, una squadra scientifica ha studiato questo fenomeno atmosferico quasi sconosciuto: i loro risultati mostrano il legame tra deforestazione e cambiamento climatico, nonché la crescente carenza d’acqua in alcune regioni brasiliane.

Sopra l’Amazzonia si solleva il più grande al mondo, ma i 'fiumi volanti' non esistono solo in Brasile come Gerard Moss racconta in un’intervista esclusiva ad Avvenire: «Ce ne sono diversi, si spostano con le correnti d’aria planetarie: abbiamo identificato circa una decina di zone dove si muovono fiumi volanti sulla Terra». I più grandi sono «in Congo, vasto quasi quanto quello amazzonico anche se si muove nella direzione opposta. Quindi in Cina e in Russia, dove c’è un 'fiume volante' che ar- riva dall’Oceano Atlantico settentrionale e che è stato danneggiato dagli incendi in Siberia ». Altri si muovono in Europa, India, Indonesia, America del Nord.

L’acqua che evapora dalle grandi foreste porta piogge nelle zone aride del mondo: un fenomeno atmosferico importantissimo messo a rischio dagli abbattimenti di alberi
Cosa vuol dire 'fiume volante'? L’Aquatis Foundation ha provato a raccontarlo attraverso la mostra 'Rivieres Volantes', ospitata dall’Aquatis Aquarium Vivarium di Losanna fino al prossimo 28 giugno. Nella sua descrizione del fenomeno brasiliano, si tratta dell’insieme di flussi d’aria umida che hanno origine nell'Oceano Atlantico e si dirigono verso il continente, risucchiati da imponenti masse di vapore liberate dalla traspirazione degli alberi. Una volta cresciute, si allontanano dalla foresta amazzonica per dirigersi verso regioni lontane dall’equatore e depositarsi sotto forma di precipitazioni. In questo passaggio è importante comprendere la traspirazione delle piante. Le superfici di quest’ultime, per assorbire l’anidride carbonica necessaria per la fotosintesi, devono essere ricoperte da un sottile strato d’acqua. Quest’acqua evapora in grandi quantità sotto l’effetto del calore solare. E un unico grande albero con una chioma di 10 metri di diametro rilascia nell'atmosfera circa 300 litri d’acqua al giorno. Torniamo adesso in Amazzonia: la superficie della sua foresta è di circa 5,5 milioni di km2. Da ciò si stima che la quantità di acqua rilasciata dalla traspirazione degli alberi è di 20 miliardi di tonnellate in un solo giorno, mentre il Rio delle Amazzoni, considerato il fiume più lungo della Terra, scarica 17 miliardi di tonnellate quotidianamente nell’Oceano Atlantico. Ecco perché il 'fiume volante' amazzonico può essere considerato il più grande al mondo. Nella fase finale del suo viaggio, questo come gli altri suoi simili, fornisce acqua ad aree che altrimenti sarebbero aride. Un dono della natura che adesso è a rischio.

Il 'fiume volante' amazzonico si sta impoverendo: colpa della deforestazione, causata da interessi economici legati all’industria mineraria e all’agricoltura. Per darne un’idea, tra il 2017 e il 2018 la foresta pluviale brasiliana si è ridotta di ben 7900 km² a causa della deforestazione: una superficie corrispondente a oltre un milione di campi da calcio. E l’avvento di Jair Bolsonaro ha davvero peggiorato le cose, de- potenziando agenzie e normative che tutelavano l’Amazzonia. «Questo governo non crede all’importanza degli alberi secolari, e ad aggravare la situazione» riprende Moss «è la scarsità di informazioni ai piccoli agricoltori. Il governo regala micro concessioni terriere ai contadini, senza una corretta pianificazione della loro distribuzione. Così i coltivatori arrivano e bruciano gli alberi nel loro terreno per farne campi coltivabili. Poi recintano la zona, affiggono un cartello con scritto 'proprietà privata', e dicono: ecco, questa è una fattoria».

Grazie all’osservazione dell’Amazzonia di due esploratori, Gerard e Margi Moss, gli scienziati hanno studiato l’effetto dello spostamento di enormi concentrazioni di umidità dovute alla traspirazione degli alberi
Così il progresso distrugge chi rimane indietro, chi ha sempre abitato queste zone come le tribù indiane degli Juruna, degli Araweté, dei Kayapó, degli Arara. A causa della deforestazione e di progetti governativi che l’aggravano come la costruzione della diga di Belo Monte sul «bellissimo fiume di Xingu – continua Moss – Queste tribù pescano circa l’80% di pesci in meno rispetto a qualche anno fa e li ho visti piangere perché non riescono più a sopravvivere». Ogni albero in meno, ferisce anche il 'fiume volante': ne riduce la portata idrica. Ed è facile citare le parole di un leader Kayapò: «Il mondo deve capire che distruggere le foreste e i popoli indigeni significa distruggere il mondo intero». Ma non serve a nulla. Quello che invece è utile, è offrire una soluzione. Come sempre, la migliore è probabilmente quella più semplice: la riforestazione.

Come indica la Aquatis Foundation, «il rimboschimento è concepibile solo attraverso politiche pubbliche che proteggano le foreste naturali, arrestino la deforestazione e limitino l’estensione delle aree agricole (...) lavorando con le popolazioni indigene e le comunità locali». Educazione, tutela, riforestazione. E da dove si comincia? «Stiamo donando a questi piccoli coltivatori semi per ricostituire l’ambiente – conclude Moss – in futuro vogliamo individuare zone strategiche dove ripiantare alberi per ridonare equilibrio all’ecosistema». E salvare anche il più grande tra i 'fiumi volanti'. Un’immagine bellissima, l’incanto di un fiume nel cielo, può essere la miccia della resistenza al sopruso. Come ricordava Peppino Impastato: «Bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».


La quantità di acqua rilasciata dalla foresta brasiliana è di 20 miliardi di tonnellate al giorno, più del Rio delle Amazzoni





© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI