mercoledì 30 settembre 2020
La spinta alla solidarietà e all’azione è stata evidente anche per i più giovani il gruppo più duramente colpito dal clima di incertezza e di restrizioni
Il «lockdown» ha fatto riscoprire la comunità

Ansa

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La Pandemia causata dal Covid-19 è un evento eccezionale che vede impegnate le persone e le comunità nel tentativo di fronteggiarlo e superarlo al meglio. Si tratta di una condizione di vulnerabilità contemporaneamente individuale e comunitaria che modifica gli scenari attuali e anche quelli futuri. I cambiamenti principali fino a ora hanno riguardato soprattutto le relazioni e il modo di vivere il rapporto quotidiano con gli altri e l’ambiente. Per fermare il coronavirus ci è stato chiesto di cambiare radicalmente quasi tutto ciò che facciamo: il lavoro, le relazioni familiari e sociali, gli acquisti, la gestione della salute, l’educazione dei figli, la cura di se stessi e della propria comunità. Anche l’idea di comunità si allarga e oltre alla comunità locale, cui normalmente ci si riferisce quando pensiamo al contesto sociale a noi più prossimo, si prende in considerazione la comunità globale che potentemente esercita la sua influenza ed è influenzata dai nostri comportamenti.

Molti sono stati e continuano ad essere, quindi, gli effetti di questa emergenza, che oltretutto, ha tratti del tutto inediti rispetto a quelle conosciute fin od oggi. Da un punto di vista strettamente psicologico, gli effetti negativi più consistenti sono stati generati dall’isolamento sociale che ha avuto la sua espressione massima durante la fase di lockdown, ma che si protrae in qualche misura ancora adesso ( World Health Organization, 2020). In quella fase dell’emergenza, le persone hanno avvertito il peso dell’assenza di azioni collettive cui spesso non si presta attenzione ma che rappresentano quello che i ricercatori chiamano capitale sociale. I rapporti di vicinato, la partecipazione alla vita cittadina (da consumatore o da produttore di qualche forma di bene o servizio), gli incontri prima e dopo il lavoro, tutte quelle azioni che si sviluppano intorno alla propria esistenza, che non vengono connotate come importanti ma che una volta assenti mostrano un grande vuoto. La mancanza della relazione con altri ha messo in evidenza l’importanza della comunità e dell’appartenenza soggettiva ad essa. La nozione di comunità e i costrutti ad essa collegati come l’empowerment, la partecipazione, il senso di comunità, la responsabilità sociale, sono stati al centro della scena nel momento di crisi emergenziale, che ha messo in evidenza la fatica della mancanza delle relazioni sociali; e lo sono ancora di più nell’attuale fase di ricostruzione e stabilizzazione dei cambiamenti che tutto questo ha determinato. Vanno guidati, infatti, cambiamenti che vadano nella direzione della consapevolezza maggiore e della costruzione di un senso di comunità fondato sulla fiducia, la reciprocità e la responsabilità sociale.

McMillan e Chavis (1986) definiscono il senso di comunità come «la certezza soggettiva che i membri hanno di appartenere ed essere importanti gli uni per gli altri e per il gruppo e una fiducia condivisa nella possibilità di soddisfare i propri bisogni come conseguenza del loro essere insieme». Esso è costituito da quattro dimensioni: senso di appartenenza che corrisponde al sentimento di fare parte di una comunità; influenza, identificata con la possibilità del singolo di partecipare e dare il proprio contributo alla vita della comunità in un rapporto di reciprocità; soddisfazione dei bisogni per cui l’individuo può soddisfare alcuni bisogni in ragione dell’appartenenza al gruppo/comunità e connessione emotiva condivisa, definita dalla qualità dei legami e dalla presenza di una storia comune. Il senso di comunità si nutre di affetti, legami, azioni e narrazioni che sono state interrotte o gravemente alterate dall’isolamento forzato del lockdown. Il lockdown forzato in famiglia ha avuto un impatto anche sulle relazioni tra le generazioni: in alcuni casi ha esacerbato situazioni di criticità e conflittualità, ha scoperto le fragilità educative degli adulti, ma anche rafforzato i legami famigliari attraverso la possibilità offerta di riscoperta degli stessi, di 'riavvicinamento' tra le generazioni o di rinforzo delle relazioni esistenti.

Allo stesso tempo, come altre esperienze di emergenze derivate da catastrofi naturali o tecnologiche ci insegnano, le persone hanno messo in campo creatività e risorse per alimentare il senso di comunità, la condivisione emotiva e la solidarietà contrastando così le emozioni negative e l’incertezza del momento. Abbiamo assistito infatti ai cori dai balconi, espressione di connessione emotiva e condivisione di una comune condizione, ma anche alla grande solidarietà da parte di tutti i cittadini verso le fasce più deboli e a rischio della popolazione e in supporto al personale sanitario in azione in prima linea. Questa spinta alla solidarietà e all’azione è stata evidente anche per i più giovani che pure sono stati il gruppo più duramente colpito dal clima di incertezza provocato dall’emergenza sanitaria e ancora di più dalle sue ricadute sul medio e lungo periodo. Le restrizioni sociali hanno alimentato quel bisogno di comunità spesso inconsapevole ed inespresso. Anche i più giovani in questo quadro generale nazionale hanno sperimentato una forte spinta all’unità nazionale: come mostra l’ultima ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, pubblicata nell’e-book 'Giovani ai tempi del Coronavirus', i giovani italiani sono orgogliosi della propria nazionalità, si sono percepiti solidali e accomunati da un medesimo destino e una comune appartenenza.

Le ricerche sin qui condotte ci dicono che si può parlare senz’altro di un forte senso di responsabilità sociale anche per le fasce più giovani della popolazione. In tempi di crisi e di trauma sociale collettivo come questo causato dal Covid, le persone modificano il rapporto con il mondo sociale e la comunità. La nozione di responsabilità, sia personale che sociale, oggi assume una rilevanza nuova: la responsabilità sociale di ognuno riguarda i propri vicini e la tutela dei soggetti più fragili, ma anche la consapevolezza che quanto accade in una certa comunità locale ha influenze dirette o mediate sulla comunità globale di cui tutti facciamo parte e che tutti, nel nostro piccolo, possiamo giocare una parte importante per la nostra vita e quella della nostra comunità.

Marta è docente di Psicologia Sociale e di Comunità all’Università Cattolica, membro dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo; Marzana è ricercatore di Psicologia Sociale e di Comunità alla Cattolica e collabora con l’Osservatorio Giovani

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