La questione solidale è questione democratica
venerdì 17 maggio 2019

Caro direttore,

dopo le tragedie delle guerre e dei totalitarismi del XX secolo, la ripresa della democrazia ha riconosciuto con chiarezza il ruolo delle formazioni sociali per lo sviluppo della personalità, inconcepibile al di fuori di un autentico ambito relazionale. Non senza difficoltà si è affermato nella seconda metà del XX secolo il principio di sussidiarietà, che ha trovato nel fortunato slogan «più Società meno Stato» una realizzazione significativa in Italia e non solo. E a lungo non vi è stato chi, studioso o meno, non abbia riconosciuto nel pluralismo associativo e nelle 'reti di solidarietà' il principale ambito di partecipazione sostanziale alla vita pubblica e insieme il più efficace antidoto al burocratismo delle istituzioni politiche che sono percepite come ambito di potere impersonale. Oggi, in Italia, sperimentiamo – come 'Avvenire' sta denunciando con particolare intensità in queste settimane – una pressione politicamediatica senza precedenti contro tutto questo.

Scrive Mary Ann Glendon: «Gli Stati democratici e il libero mercato dovrebbero sentire il bisogno di astenersi dall’imporre i loro propri valori indiscriminatamente a tutte le istituzioni della società civile. Essi potrebbero persino aver bisogno, per il loro stesso bene, di aiutare attivamente i gruppi e le strutture la cui principale fedeltà non è nei confronti dello Stato e i cui valori più alti non sono l’efficienza, la produttività o l’individualismo» (Tradizioni in subbuglio, p.25). La torsione democratica della quale siamo quasi muti spettatori non ha alimentato studi specialistici di 'settore' e non infrange il muro di indifferenza con la quale accogliamo annunci di una (anche inquietante) 'rimessa a nuovo' della nostra democrazia colpita nei punti nevralgici della sua configurazione. Il vento del populismo e dell’antipolitica nonché la sfiducia nelle istituzioni suggeriscono la possibilità estrema che l’Italia – che ha conosciuto lungo la sua storia, cominciando dal fulgido esempio delle Misericordie (XII secolo), esempi grandi di solidarietà diffusa quando ancora il Welfare State non era stato nemmeno pensato – possa diventare laboratorio di un neostatalismo cieco che paradossalmente implementa vieppiù le asperità di un mercato senza qualità, almeno quelle umane.

C’è una propensione al rapporto diretto e comiziante tra il potere e il cittadino. Ma cosa lascia nell’ombra e addirittura disprezza questa propensione alla semplificazione e alla svalutazione? Tutta la realtà di quanti vivono quotidianamente anche e soprattutto in forma cooperativa e solidale la società, l’economia, il territorio, e sono consapevoli che il riferimento al 'popolo', attraverso le piazze o i nuovi media, non risponde ai vissuti reali delle persone. Pierre Theillard de Chardin affermava che alle società complesse corrispondono soggetti complessi. A questa condivisione della società governata e governante è ispirata la nostra Costituzione. Fino a un tratto della storia recentissima, gli operatori del sociale o dell’economia hanno creduto nella possibilità, già iscritta nella vocazione costituzionale, che si potesse realizzare questa forma di governo complesso e articolato che oggi è messo in discussione insieme alla democrazia intesa come processo di conciliazione di interessi, bisogni, corpi intermedi, flusso di identità, organizzazione.

Dobbiamo ricominciare a riflettere sull’importanza della stessa qualità del nostro vivere civile, sulla resilienza delle realtà associative e cooperative, come quelle del Terzo settore, che costituiscono elementi cardine nella nostra realtà sociale, e in misura notevole anche nel quadro istituzionale delineato dalla Costituzione. Tra Stato e privato, fra mercato e pubblico, stanno i corpi intermedi, in ogni loro configurazione giuridica, e tra questi con ruolo speciale le reti solidali. E poiché si sviluppano dal basso fanno crescere il tasso di democraticità del sistema costituendo, al contempo, una vitale risorsa per la riduzione dell’ingiustizia sociale. La politica che fa loro 'guerra' è semplicemente autolesionista.

Presidente nazionale Centro Italiano Femminile (Cif)

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